Umbria | Italia | Mondo

Va male l’Umbria, non la sua industria

Ad andare male, come mostrano gli indicatori macroeconomici, è l’economia umbra nel suo complesso, ma l’industria della regione è in salute. Nella conferenza stampa di fine il presidente di Confindustria Umbria, Antonio Alunni, mostra l’indagine condotta sulle 700 società di capitali iscritte all’associazione: fatturato e numero dei dipendenti risultano in crescita. Un fatturato che dal 2015 al 2017 è già passato da 10,7 a 11,5 miliardi.

A tirare il treno dell’industria umbra è soprattutto il manifatturiero, con le 425 imprese del settore sotto il vessillo dell’aquila che garantiscono oltre il 90 del Prodotto interno lordo manifatturiero. Insomma, Alunni non chiede alla politica sostegni per combattere il rischio di una nuova crisi, quanto di non creare ostacoli a queste imprese dinamiche, in grado di garantire sviluppo e ricchezza. Non solo dal punto di vista delle infrastrutture carenti e della burocrazia asfissiante, ma anche sul piano culturale, aiutando a creare un ambiente positivo, favorevole all’impresa. Perché se i dati macroeconomici stanno facendo scivolare l’Umbria sempre a sud e nella parte bassa della classifica regionale, le aziende della regione “stanno andando bene ed hanno le idee chiare“. La strategia, dunque, è semplice: fare in modo che “le piccole imprese diventino medie, le medie grandi e le grandi ancora più grandi“.

Alunni, come fatto in Assemblea, batte ancora sul tema della formazione: “Sempre più istituti – dice – sono aperti all’industria e all’impresa“. Ed ha ricordato l’eccellenza rappresentata dall’Its, il primo in Italia per garanzia di occupazione. “Il problema – ammonisce Alunni – sono le famiglie“. E allora, se non aiutiamo i nostri figli a vedere le opportunità che ci sono anche in Umbria, poi non lamentiamoci della fuga dei cervelli.