MILANO (ITALPRESS) – L’immunosoppressione non pare aumentare il rischio di COVID-19. Ad affermarlo e’ uno studio condotto dall’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano su pazienti sottoposti a trapianto di fegato e pubblicato nei giorni scorsi sulla rivista Lancet Gastroenterology & Hepathology, dal titolo “COVID-19 in long-term liver transplant patients: preliminary experience from an Italian transplant centre in Lombardy.
Lo studio, condotto da un gruppo di ricercatori dell’INT – fra cui le epatologhe Sherrie Bhoori e Roberta Rossi – e’ tra i primi al mondo ad aver preso in esame la relazione tra COVID-19 e pazienti trapiantati di fegato (155 pazienti lombardi trapiantati presso l’Istituto, 111 da oltre 10 anni e 44 negli ultimi 2 anni). Dall’analisi emerge che l’immunosoppressione nei pazienti trapiantati non pare essere un fattore di rischio in caso di malattia da COVID-19 e anzi potrebbe essere un fattore protettivo.
“Tutti i pazienti sottoposti a trapianto devono assumere per tutta la vita, a dosi piu’ o meno elevate, farmaci immunosoppressori che riducono le difese immunitarie – commenta Vincenzo Mazzaferro, coordinatore dello studio e direttore della Struttura di Chirurgia dell’Apparato Digerente dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. “Alla luce dei risultati valutati in questa nostra esperienza, sembra un paradosso, ma avere un sistema immunitario meno attivo, come quello generato dai farmaci immunosoppressori, pare determini una risposta piu’ contenuta al coronavirus e dunque un decorso della malattia e di un eventuale aggravamento da polmonite interstiziale meno severo”.
Lo studio ha preso in esame i pazienti trapiantati di fegato che hanno contratto il virus e ha osservato che il decorso peggiore della malattia si e’ avuto nei pazienti che, a lunga distanza dal trapianto, hanno mantenuto uno stile di vita poco sano: sovrappeso, poca o nessuna attivita’ fisica, sviluppo del diabete, ipertensione o innalzamento dei trigliceridi. Al contrario, si e’ visto che i pazienti trapiantati di recente e che assumono dosi anche elevate di immunosoppressori, hanno avuto un decorso molto lieve della malattia da COVID-19. Infatti, questi ultimi hanno seguito con molta attenzione, sino a quel momento, le prescrizioni mediche mantenendo uno stile di vita adeguato a non sviluppare malattie metaboliche. Il cuore del problema COVID-19, anche nei pazienti trapiantati, pare quindi essere la presenza di fattori di rischio prevenibili quali: sovrappeso, ipertensione, diabete e problemi cardiovascolari. Nei trapiantati l’immunosoppressione e’ normalmente associata ad un maggior rischio di infezioni, soprattutto batteriche, tuttavia il COVID-19 non sarebbe pero’ favorito direttamente dall’uso dei farmaci anti-rigetto che, invece, potrebbero contenere l’iper-reazione che il sistema immunitario a volte scatena contro il virus, facendo esplodere il quadro di polmonite interstiziale che si osserva nei pazienti gravi.
(ITALPRESS).
Lo studio, condotto da un gruppo di ricercatori dell’INT – fra cui le epatologhe Sherrie Bhoori e Roberta Rossi – e’ tra i primi al mondo ad aver preso in esame la relazione tra COVID-19 e pazienti trapiantati di fegato (155 pazienti lombardi trapiantati presso l’Istituto, 111 da oltre 10 anni e 44 negli ultimi 2 anni). Dall’analisi emerge che l’immunosoppressione nei pazienti trapiantati non pare essere un fattore di rischio in caso di malattia da COVID-19 e anzi potrebbe essere un fattore protettivo.
“Tutti i pazienti sottoposti a trapianto devono assumere per tutta la vita, a dosi piu’ o meno elevate, farmaci immunosoppressori che riducono le difese immunitarie – commenta Vincenzo Mazzaferro, coordinatore dello studio e direttore della Struttura di Chirurgia dell’Apparato Digerente dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. “Alla luce dei risultati valutati in questa nostra esperienza, sembra un paradosso, ma avere un sistema immunitario meno attivo, come quello generato dai farmaci immunosoppressori, pare determini una risposta piu’ contenuta al coronavirus e dunque un decorso della malattia e di un eventuale aggravamento da polmonite interstiziale meno severo”.
Lo studio ha preso in esame i pazienti trapiantati di fegato che hanno contratto il virus e ha osservato che il decorso peggiore della malattia si e’ avuto nei pazienti che, a lunga distanza dal trapianto, hanno mantenuto uno stile di vita poco sano: sovrappeso, poca o nessuna attivita’ fisica, sviluppo del diabete, ipertensione o innalzamento dei trigliceridi. Al contrario, si e’ visto che i pazienti trapiantati di recente e che assumono dosi anche elevate di immunosoppressori, hanno avuto un decorso molto lieve della malattia da COVID-19. Infatti, questi ultimi hanno seguito con molta attenzione, sino a quel momento, le prescrizioni mediche mantenendo uno stile di vita adeguato a non sviluppare malattie metaboliche. Il cuore del problema COVID-19, anche nei pazienti trapiantati, pare quindi essere la presenza di fattori di rischio prevenibili quali: sovrappeso, ipertensione, diabete e problemi cardiovascolari. Nei trapiantati l’immunosoppressione e’ normalmente associata ad un maggior rischio di infezioni, soprattutto batteriche, tuttavia il COVID-19 non sarebbe pero’ favorito direttamente dall’uso dei farmaci anti-rigetto che, invece, potrebbero contenere l’iper-reazione che il sistema immunitario a volte scatena contro il virus, facendo esplodere il quadro di polmonite interstiziale che si osserva nei pazienti gravi.
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