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Umbria Jazz15 apre con Paolo Conte, tra Milonghe verdi e Gerovital

All’Arena Santa Giuliana di Perugia finalmente si respira, dopo una settimana di caldo africano. E anzi l’aria è talmente fresca, che ad un certo punto moltissimi spettatori poco attrezzati assaltano il box del merchandising in cerca di felpe, giubbetti e cappelli, mentre ai ragazzi addetti alle vendite, come nei cartoni animati, scattano i simboli dell’Euro agli occhi. Apre nella serata di ieri, 10 luglio, l’edizione 2015 di Umbria Jazz che da più parti viene definita dei record. E se il fresco predispone bene sin dall’inizio, Paolo Conte fa il resto nel primo appuntamento dei grandi concerti all’Arena, lusingando un pubblico decisamente etoregeneo con tutto l’armamentario consueto di milonghe verdi, bar tabarin, mocambi come se piovesse, profumo di caffè, sudamerica, maracas, tropical e gerovital poco efficace.
La platea non se ne cura, perchè chi è presente a Perugia è proprio lui che vuole vedere ed ascoltare, null’altro. Le critiche si impicchino da sole. Con una carriera come la sua, la paventata aridità creativa che recentemente, per sua stessa ammissione, lo ha portato ad un passo dal ritiro dalle scene, sembra ormai superata. Si torna a suonare in pubblico con una certa freschezza.

Ensemble di musicisti di gran classe e ottima tecnica, rigorosamente in smoking, mentre il capo della banda, sempre più stropicciato e scravattato, inizia ad assomigliare in maniera evidente ad un incrocio tra Georges Brassens e Joe Cocker. L’artista astigiano, classe 1937, canta anche volentieri in piedi, mentre l’iconografia classica lo vuole seduto dietro al pianoforte vestitissimo di tutto punto e con qualche sigaretta sfumazzante qua e là. Muove molto le mani e “arroca” la voce in maniera molto prossima al ruggito. E che sia un vecchio leone non c’è dubbio. Il re della foresta che nell’ultimo lavoro Snob, presentato copiosamente nel concerto perugino, sfiora generi già trattati nel fortunato Razmataz, il continente nero da cui tutto nasce, pelle lucide di sudore, in uno stile a volte cajun e a volte meno jazz e più juju, più simile alla sua natura di cantastorie. Scintillano qua e la versioni asciutte ma ugualmente liriche di vecchi successi come Aguaplano.
Musicalmente godibile, con testi su improbabili triangoli amorosi viziati dal colesterolo “Noi di provincia siamo così, le cose che mangiamo son sostanziose…”, e con la tremenda (nel senso di trascinante) Tropical a chiudere un concerto con gli aficionados tutti davanti al palco zompettanti e ammaliati dal vocione, che come dicono perfettamente le parole del testo è “Confidenzial, fregatura total. Illusional come il Gerovital…”, Conte non nasconde un suo distacco dalle cose terrene, percorrendo a piene mani il sentiero del ricordo, autocitandosi spesso e volentieri ed amandosi in una sorta di onanismo “sentimental”.
C’è da credere che in fondo la sua perfetta dimensione sia il Club o l’amato Mocambo, in qualunque posto del mondo esso sia. Li, Paolo Conte non avrebbe timori o ritrosia. Come quando invece, giovane scoperta del Club Tenco, lo portarono a suonare davanti al pubblico dell’Ariston di San Remo e a lui per poco non prese un colpo perchè il “locale” era troppo grande.
Non c’è nulla da dire oltre questo, perchè tutto è come te lo aspetti. Solo il ricordo del suo grande amico e promoter di musica umbro Sergio Piazzoli, a cui è dedicato l’intero concerto, lo commuove, a tal punto che le poche parole, gli si spezzano in bocca, forse più per una sua riservatezza di stampo piemontese, che per eccesso di lacrimosa rimembranza, “E’ stato un grandissimo amico. La sua risata leggendaria…viva Sergio”.
Si chiude così la prima serata, divertente godibile e molto apprezzata dal pubblico. Un bell’inizio, Sotto le stelle del Jazz, come direbbe il vecchio leone.

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Foto e Video (Nicola Palumbo): Tuttoggi.info