Di Carlo Vantaggioli e Alessia Chiriatti
Quando Pat Metheny viene presentato ieri sera (12 luglio ndr.) al pubblico di UJ, si dice di lui che è l’unico vero chitarrista che sa suonare bene lo strumento in un mondo di musicisti che per la maggior parte spesso lo fanno male. Senza essere troppo assolutisti, si può confermare però l’affermazione per quanto riguarda lo stile e l’unicità di questo, in rapporto a molti altri chitarristi della scena jazz. Certamente Metheny non è confondibile con altri maestri, come John Scofield , visto qualche giorno fa al Santa Giuliana. La caratteristica di questo artista è invece quella di dare profondità interpretativa e corpo alla sua musica attraverso gli anni. Così sono molti i giovani che, pur avendo un distacco generazionale anche molto ampio, si mettono a seguirlo ora ricostruendo un percorso a ritroso e ritrovando l’origine del loro piacere di ascoltarlo anche attraverso le vecchie incisioni. Cosa che fanno solo in parte i suoi affezionati fans più vecchietti, che non si perderebbero un suo nuovo concerto per nulla al mondo. Al Santa Giuliana si racconta di uno di questi che alla 35esima esibizione live ha chiesto a Pat , “quand’è che mi paghi tu il biglietto per venirti a sentire?”. Aneddoti di chi lega ricordi importanti, spesso di vita personale, ai concerti di Metheny che è un vero appassionato di Umbria Jazz e a Perugia viene a suonare “dai tempi dei tempi”.
Metheny ha deciso recentemente di tornare ad esibirsi in formazione di quartetto, la Unity Band, con il ritorno nella frontline di un sassofono tenore. Sono passati 30 anni circa dall’ultima volta in cui nei suoi concerti hanno suonato due tipetti come Dewey Redman e Michael Brecker. Questo fa pensare che la dimensione scelta dall’artista statunitense è proprio quella ideale per una riscoperta delle origini, il percorso esatto di chi, come raccontavamo prima, si mette ad ascoltarlo ora per la prima volta. Il che però non toglie a Metheny quell’aura di alchimista stregone che va a ricercare dentro di se l’origine del suono. L’apertura del concerto di ieri vale più di mille dichiarazioni in tal senso. “Acustico” è a volte una definizione eufemistica, se non si riesce a percepire il lavoro che porta a quel tipo di suono, prodotto ieri dalla sua Pikasso 42 corde.
Ma anche jazz e ancora jazz, con punte di soul, rock strumentale e note orientali: questo è Pat Metheny e la sua Unity Band. Uno spettacolo di oltre due ore, fatto ancora una volta di innovazioni musicali e sperimentazioni artistiche. Il pubblico c’era, numeroso ed innamorato di Pat, ad alzarsi in piedi per il suo bis e poi per il tris con Are you going with me?, in un balletto di emozioni che prendeva forma tutte le volte che i musicisti tornavano sul palco.
In Metheny, non c'è dubbio, si uniscono la tradizione occidentale e quella più squisitamente europea. A stupire ieri, insieme alla celeberrima chitarra Pikasso che Pat si fece costruire da un liutaio canadese, anche la sua versione dell’Orchestrion, il termine che il musicista utilizza per descrivere “un metodo musicale che utilizza strumenti acustici e elettrici controllati meccanicamente, utilizzando solenoidi e pneumatici”. Che sia una penna, o la tastiera, o ancora la chitarra ad azionare l’Orchestrion, ciò che sembrerebbe improvvisazione, riecheggia nell’aria come un tutt’uno organico e fluido. Alla Unity Band non servono parole, non serve che i loro pezzi siano cantati: ogni singola nota, anche i virtuosismi più inaspettati, diventa un piccolo tassello di quello che in gergo si chiama fraseggio. Metheny ha duettato con i singoli componenti della band: con Chris Potter, sassofonista talentuoso, dall’improvvisazione musicale torrenziale; con il giovane contrabbassista Ben Williams, e con il collaboratore di lunga data Antonio Sanchez, alla batteria, vera punta di diamante della serata, in grado di cambiare tempi e tonalità repentinamente, ma di sostenere un percorso del concerto senza mai distrarsi, come spesso amano fare invece gli esibizionisti. Quattro talenti, questo è innegabile, capaci di coltivare inflessioni musicali diverse.
E così, al termine della serata, allo stesso modo di come era iniziata e anche finita. All'ennesimo richiamo sul palco, Metheny ha preso una delle sue magnifiche chitarre acustiche, amplificate come solo i suoi tecnici sanno fare, ed ha “pizzicato” la bellissima ballata This is not America ( clicca qui per il video finale del concerto) resa famosa da David Bowie, ma musicata dal Pat Metheny Group. Di più sarebbe stato inutile!
ALTRI VIDEO: Are you going with me?
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Video TO- Nicola Palumbo e Alessia Chiriatti