Una regione che cresce e recupera terreno, ma meno di altre realtà territoriali; in cui aumentano produttività e posti di lavoro ma dove il valore aggiunto per occupato è molto più basso della media nazionale; con un fatturato dell’export molto lusinghiero ma scarsi livelli di efficienza della pubblica amministrazione. Insomma, sono dati in chiaroscuro quelli che emergono dal rapporto commissionato da CNA Umbria al Cresme Ricerche che, a poco più di un anno di distanza dal precedente studio dedicato al territorio, è andata a verificare l’evoluzione di alcuni indicatori per capire come sono andate le cose negli ultimi 20 anni e, soprattutto, per fornire indicazioni preziose rispetto a cosa fare per garantire all’Umbria sviluppo e benessere per tutti.
“Dopo essere usciti dalla crisi post Covid con un grande scatto di reni del sistema imprenditoriale anche grazie ad adeguati sostegni regionali e nazionali – ha affermato il presidente di CNA Umbria, Michele Carloni – l’economia sta rallentando nuovamente, chiamando tutti a fare scelte che incidono direttamente sulla competitività e l’attrattività dell’Umbria. Per questo per la prossima settimana abbiamo organizzato un confronto tra le due principali sfidanti alla carica di presidente della Regione, alle quali sottoporremo una serie di proposte su alcuni temi strategici, suffragati anche dai dati della ricerca che presentiamo stamattina”.
“Dopo la pandemia – ha esordito Lorenzo Bellicini, direttore del Cresme, illustrando la ricerca – l’Umbria è tornata a crescere e a fine 2024 supererà il valore aggiunto 2019 (+ 0,2%). Ma è una crescita inferiore non solo a quella delle regioni più performanti, ma anche alla media nazionale. Da almeno venti anni, d’altronde, la regione fa meglio solo rispetto al Molise e alla Calabria. Per quanto riguarda i settori, nel 2022 solo il commercio è tornato ai livelli precedenti la grande crisi iniziata nel 2008, mentre tutti gli altri comparti sono al di sotto di almeno dieci punti (industria e costruzioni addirittura del 30% più bassi). Buone notizie, invece, sul fronte della produttività industriale, che dal 2016 cresce più della media nazionale sebbene partendo da livelli molto più bassi. Il dato macroeconomico più positivo per il 2024 è quello relativo al fatturato dell’export, che si attesta su un + 6,8% (in Italia + 1,1%). E se è vero che nel 2023 le esportazioni umbre avevano registrato un calo del 3,5%, l’anno precedente avevano segnato + 23,6%, oltre tre punti e mezzo sopra la media nazionale. Sono soprattutto la siderurgia, il tessile e l’agroalimentare a spingere le esportazioni. Positivi – continua Bellicini – anche i dati relativi all’occupazione, aumentati del 2,6% nel 2023 rispetto all’anno precedente, mentre anche nei primi mesi del 2024 gli occupati sono cresciuti dell’1,2%. Nel confronto 2019/2023, i dipendenti sono aumentati del 6,4%, mentre sono scesi di oltre 15 punti percentuali i lavoratori autonomi, determinando una contrazione del numero di imprese. Se nel 2024 la crescita dell’occupazione è stata trainata soprattutto dal commercio e dal turismo mentre l’industria ha segnato un – 8%, nel confronto con il 2019 i rapporti sono invertiti, con l’industria che ha fatto segnare un + 11% di occupati e il commercio che ha registrato un calo del 5%. Le cose tornano a farsi meno rosee guardando al valore aggiunto per occupato, che in Umbria, secondo l’Istat, è di 42.900 euro, inferiore del 18,4% rispetto alla media dell’Italia. Non va meglio sul fronte dei redditi, che nel 2022 sono di circa 20mila euro per un dipendente umbro del settore privato (- 12% rispetto alla media nazionale), collocando l’Umbria all’11° posto tra le Regioni, davanti solo alle regioni meridionali. Anche la spesa media mensile delle famiglie umbre si mantiene su livelli inferiori al dato nazionale. Buone notizie dal turismo, che nel 2023 ha segnato il picco storico di arrivi e presenze, soprattutto grazie ai visitatori italiani, mentre resta molto da fare con gli stranieri. L’università di Perugia, dopo otto anni di crescita, è tornata a crescere sfiorando i 30mila studenti. Negativi i dati sulla demografia, con una perdita netta di quasi 40mila residenti nel decennio 2013/2023, il progressivo invecchiamento della popolazione (che vede gli over 65 in continua crescita rispetto alla popolazione in età lavorativa) e un saldo migratorio estero in perdita. In termini di qualità della vita l’Umbria è ancora a buoni livelli: l’aspettativa di vita vede Perugia e Terni rispettivamente al 16° e 53° posto rispetto alle altre province italiane. Sulla qualità dell’aria l’Umbria verde vede Perugia in 24° posizione, mentre Terni è all’87°. L’indagine ha esaminato anche il tema della sicurezza sul lavoro: nella classifica sul numero standardizzato di infortuni gravi e decessi, Terni si posiziona al 35° posto e Perugia al 55°. La sanità umbra vede un alto numero di medici specializzati in rapporto agli abitanti, ma una bassa disponibilità di posti letto specializzati (Perugia si colloca al 51° posto, Terni all’87°). Alti anche gli spostamenti ospedalieri per ricoveri ordinari acuti. Sul tema dei rifiuti, bene i livelli della raccolta differenziata anche se migliorabili, soprattutto a Perugia, ma occorre lavorare per la chiusura del ciclo di smaltimento. Le infrastrutture continuano a rappresentare uno dei problemi maggiori per l’Umbria: molto critica soprattutto l’accessibilità ferroviaria a Perugia (72° posto), un po’ meglio a Terni (58°). Tra i 2022 e il 2023 sono stati messi a gara lavori pubblici per oltre 1,5 miliardi di euro, mentre nei primi cinque mesi del 2024 si è registrato un calo del 23,9% sull’anno precedente. Situazione critica per quanto riguarda la competitività della pubblica amministrazione: l’indice europeo che registra efficienza, semplicità ed efficacia della P.A. dei territori, posiziona l’Italia ben lontana dalla media UE, soprattutto al Sud: in ambito nazionale l’Umbria fa meglio delle regioni meridionali ma peggio di tutte le regioni settentrionali, ad eccezione della Lombardia”.
“Sulla base di questi dati – ha ripreso Carloni – e dopo un’ampia discussione tra i gruppi dirigenti della CNA per individuare le principali criticità che le imprese affrontano quotidianamente, abbiamo formulato dieci proposte su altrettanti temi su cui crediamo si debba lavorare nella prossima legislatura: una concreta integrazione tra sistema dell’istruzione e mondo del lavoro, la crescita dimensionale delle imprese, la riqualificazione del territorio, l’industrializzazione del turismo, l’attrazione di nuovi residenti nei centri storici, l’adozione di un nuovo modello organizzativo per il welfare e la sanità, la chiusura del ciclo dei rifiuti, la semplificazione amministrativa per migliorare la competitività, un grande patto dell’Italia centrale sulle infrastrutture, riforme non più rinviabili. Come abbiamo visto dai dati, sul fronte della produttività industriale, pur essendo ancora molto indietro, da otto anni a questa parte abbiamo recuperato terreno, ma dopo la pandemia – ha concluso il presidente di CNA Umbria – servono scelte chiare da parte delle Istituzioni”.