Città di Castello

L’ultimo abitante di Monte Ruperto, dopo 30 anni torna nell’exclave tifernate nelle Marche

Antonio Gnucci, 87 anni, tifernate “doc”, fra gli ultimi maestri calzolai della città e storico tifoso del Città di Castello calcio, riesce a stento a trattenere le lacrime nel raccontare le sensazioni provate ritornando, dopo oltre 30 anni, a Monte Ruperto, exclave e “baronia” del Comune di Città di Castello (al cui sindaco spetta il titolo di “barone”) in territorio marchigiano, situata fra i Comuni di Apecchio e di Sant’Angelo in Vado.

Una troupe della Rai lo ha accompagnato in quei luoghi impervi ma ricchi di fascino dell’appennino umbro-marchigiano, che lo hanno visto nascere e crescere assieme alla sua famiglia e ai tanti parenti e vicini di casa di allora. Antonio Gnucci è l’ultimo tifernate che può raccontare cosa succedeva dal dopoguerra agli anni inizi degli anni ‘70 quando il borgo è rimasto disabitato. Lassù ora non abita più nessuno e restano lì alcuni ruderi, tanta vegetazione ed una montagna di aneddoti che Antonio ha raccontato in sintesi alla troupe del Tg1 che ha realizzato un servizio.

Una emozione fortissima – ha commentato Antonio – in pochi attimi mi sono tornati alla mente gli anni vissuti in questo luogo incantato con la mia famiglia e i vicini di casa, la casa dove sono nato, i prati dove ho giocato da bambino con gli amici, la strada per andare a scuola, il panorama inconfondibile dell’infanzia che mi è rimasto sempre nel cuore e non mi ha mai abbandonato”.

L’exclave di Monte Ruperto è collocata oltre il crinale dell’Appennino, nell’Alta valle del Candigliano, alle pendici del Valmeronte, nel punto dove sorge l’antica Abbazia di San Benedetto. Il primo cittadino tifernate ha ereditato nel medioevo il piccolo borgo all’epoca delle lotte fra guelfi e ghibellini: uno dei baroni che dominava la piccola località, infatti, durante una carestia dovuta ad una consistente nevicata, chiese aiuto, e solo Città di Castello rispose positivamente, inviando muli carichi di vettovaglie. Il barone, memore del gesto, decise di donare il suo territorio a Città di Castello, unitamente alla possibilità ai gonfalonieri (gli attuali sindaci), di potersi fregiare del titolo di barone, nel periodo in cui essi amministrano la città. Gli atti del Comune narrano che gli abitanti di Monte Ruperto avevano agevolazioni fiscali: un documento del 1274 e del 1574, stabiliva che dovevano all’Ente tifernate solo 5 soldi, in moneta usuale, per focolare (per casa), da versarsi il 27 di agosto.

Il destino di Monte Ruperto è legato strettamente a quello di Scalocchio, rimasto sotto il dominio di Città di Castello durante il Medioevo, nonostante i contrasti con gli Ubaldini della Carda, signori di Apecchio. Nella seconda metà del ‘600 Monte Ruperto era indicato assieme a Pietralunga come Baronia dell’Illustrissimo Magistrato, titolo che spetta tuttora al Sindaco di Città di Castello come Barone di Monte Ruperto.

“L’ultima famiglia a lasciare Monte Ruperto fu proprio quella dei Gnucci – racconta l’ingegner Giovanni Cangi, storico e profondo conoscitore del territorio e di quei luoghi – attorno alla metà degli anni ’60. Il seggio di Monte Ruperto per le elezioni era quello di Scalocchio, situato a notevole distanza e non facilmente raggiungibile, per cui gli elettori che giungevano da Monte Ruperto avevano precedenza rispetto agli altri. Oltre quello di Monte Ruperto esistevano altri castelli alle sorgenti del Candigliano. Le chiese appartenevano alla Diocesi di Città di Castello. Le scuole di Scalocchio avevano sede presso l’Abbazia. Vi erano solo due classi elementari e le medie con rispettivi tutor. Alla scuola di Scalocchio si formarono molti giovani che poi si trasferirono a Città di Castello per frequentare le superiori”.