Nella mattina di sabato 8 luglio una folta delegazione di istituzioni e cittadini, a 73 anni dal drammatico avvenimento, ha ricordato l’eccidio di Pian di Brusci, una della molte stragi civili che si consumarono durante il passaggio del fronte nel 1944, quando l’esercito di Liberazione si confrontava con le truppe di occupazione nazifasciste sul territorio dell’Alta Valle del Tevere.
L’iniziativa si pone nell’ambito di Tracce di memoria, progetto promosso dal comune di Città di Castello, dall’Istituto di Storia Politica e Sociale “Venanzio Gabriotti”, in collaborazione con l’Anpi, l’Associazione Nazionale Famiglie Caduti e Dispersi in Guerra, il Comitato Trestina per la Pace, le Pro Loco di Badia Petroia e Trestina, le scuole del territorio, per ricordare il periplo degli eccidi di quella terribile stagione.
E’ ormai giunto alla conclusione: manca al triste appello prima della Liberazione, il 22 luglio, la strage di Meltini, che verrà commemorata mercoledì prossimo 12 luglio, nei pressi del casolare di San Paterniano.
“Il consiglio comunale è presente a questo importante momento di ricordo e di ammonizione verso la barbarie della guerra, in un frangente internazionale dove i focolai di violenza sono molti e continuano a provocare vittime innocenti” ha detto il presidente del consiglio comunale tifernate Vincenzo Tofanelli, intervenendo insieme al vicesindaco Michele Bettarelli, a Ursula Masciarri, consigliere comunale e membro dell’istituto Gabriotti, al consigliere Giovanni Procelli, che oltre alla rappresentanza istituzionale, si è reso disponibile a suonare “Il silenzio”.
Che cosa accadde a Pian di Brusci l’8 luglio del 1944? Lo racconta Alvaro Tacchini, storico e presidente dell’Istituto Gabriotti nel suo sito: i nove contadini furono uccisi dall’esercito tedesco in ritirata. Nel tardo pomeriggio di quel giorno nella casa colonica presso il bivio che dalla strada per Morra conduce a Lugnano, giunse una pattuglia mista di tedeschi e fascisti, e ordinò alle famiglie Sorbi e Ramaccioni, che vivevano nella casa, di consegnare i due inglesi che erano convinti nascondessero. Nonostante la perquisizione diede esito negativo, i militari minacciarono di giustiziare Mario e Ruggero Ramaccioni, che, dietro le preghiere dei familiari, furono risparmiati ma tutti vennero trasferiti alla sede del comando tedesco, posta in collina poco più a nord, a Pompanano.
Rimasero a Pian dei Brusci solo Speranza Giulietti, moglie di Ruggero Ramaccioni, che era la donna più anziana, Alessandro Sorbi, perché mutilato di una gamba, e Stefano Sorbi, al quale fu permesso di assistere la moglie incinta, svenuta per lo spavento. Le donne e i bambini, una ventina, si videro rinchiudere in un essiccatoio di tabacco, con un soldato fuori di sentinella. Il gruppo di uomini, al quale era stato aggiunto Pio Pettinari, dodicenne di Canoscio prelevato nelle vicinanze, attese in una stalla di essere sottoposto a interrogatorio.
Ma quando Il ragazzo tentò, riuscendoci, di scappare, la rappresaglia dei tedeschi e dei fascisti si rivolse verso gli uomini, che furono fucilati. Attilio Sorbi, colpito alle gambe da una raffica di mitra, si accasciò senza essere raggiunto da altre pallottole in punti vitali. Sopra e attorno a lui caddero gli altri. Poi i soldati s’avvicinarono al cumulo di uomini e cominciarono a dare a ciascuno una pistolettata alla testa. L’esplosione di una granata a poca distanza interruppe il tragico rito. I soldati si allontanarono per proteggersi dall’artiglieria nemica. Fu così che Attilio Sorbi si divincolò a fatica dal mucchio di cadaveri dei congiunti, li baciò e, strisciando, andò a nascondersi sotto un mucchio di grano, poi in un fosso. Ferito, raggiunse la casa colonica di Palazzetto, vicino a Lugnano. All’alba ebbe i primi soccorsi. Agli inquirenti, dichiarò che erano tre i fascisti ad aver accompagnato i tedeschi a Pian dei Brusci. Dell’identità di uno di essi era certo: si trattava di Giampiero Pierleoni, figlio di un dentista. Di un secondo fascista seppe solo dire che era “un certo Puletti di Città di Castello”.
“Percorrere a ritroso questo itinerario di eccidi è un dovere perché il sacrificio di tante persone non deve essere dimenticato. Venanzio Gabriotti è il simbolo della resistenza che il territorio oppose alla violenza del nazismo e del fascismo ma insieme a lui, tanti altri dovettero fare scelte difficili e mettere a repentaglio la loro esistenza perché ci fosse un futuro di libertà e democrazia” ha aggiunto Tofanelli, durante la cerimonia. Il periplo degli eccidi si concluderà con un altra strage di tifernati, che, furono precipitati in una storia più grande di loro e che non avevamo contribuito a scrivere: le cinque vittime di Meltini.