Il mancato via libera alla tortora a causa della disorganizzazione nella rendicontazione è significativo del modo in cui è gestita la caccia
Nonostante le spiegazioni fornite in Aula dall’assessore Morroni – i ritardi nella disponibilità del tesserino elettronico e l’esiguo numero di capi, 3 mila, da assegnare alla quota del carniere – a molti cacciatori umbri il mancato via libera alla caccia alla tortora non piace proprio.
La nuova protesta dei cacciatori
La delusione è evidente nelle parole di Sergio Gunnella ed Evandro Caiello (Confavi Umbria), del ricercatore faunistico
Mario Bartoccini, di Danilo Mattioli e Francesco Ravacchioli (Club cacciatori Le Torri), Valter Verzellini (Umbria caccia e natura), Claudio Tortoioli Detto Ricci (Associazione venatoria ambientale Nata libera Perugia).
Che evidenziano come, ancora una volta, ci sia una profonda diversità nel modo in cui le Regioni applicano normative e direttive nazionali.
Come del resto per la legge 157, che dopo trent’anni in certe regioni non viene ancora applicata fino in fondo. E il gruppo di cacciatori si chiede perché non sia stata ancora modificata, nonostante gli auspici di molti cacciatori e degli stessi organi amministrativi. Una domanda della quale conoscono già la risposta: “Perché, se è vero che qualche Regione ha azzardato a criticarne in più occasioni i criteri operativi – evidenziano – è altrettanto vero che altre amministrazioni, in particolare in quella Umbra, questi se li sono cuciti addosso, adattandoseli come un vestito nuovo e con ritocchi finalizzati all’acquisizione di un maggiore consenso politico e sociale. I postulati nazionali si sono così allargati, inquinati da direttive e regolamenti regionali discutibili, acchiappa-fantasmi (e acchiappa-voti!)”.
Legge 157 ancora aggirata
La legge nazionale, accusano, è stata aggirata “con l’uso di un lessico che ha finito per mistificarne i criteri con l’uso improprio di verbi e sostantivi contrabbandati per sinonimi, ma che sinonimi non sono”.
E in questa accozzaglia di soluzioni interpretative “taroccate al solo scopo di rafforzarne l’egemonia e destinate ai meno attenti, si è arrivati perfino a perdere di vista i veri criteri perseguiti dalla riforma. Il palazzo perugino ha fatto credere ai più che il ‘catasto ambientale’ le ‘ricognizioni periodiche della consistenza faunistica’, la partecipazione al tavolo nazionale del ‘Comitato Tecnico Faunistico’, la ‘Carta delle vocazioni faunistiche’, la predisposizione dei ‘siti incentivanti la nidificazione’, ecc., devono essere considerati inutili perditempo e complicazioni studiate dai non cacciatori per contrastare quanto più possibile la caccia”.
Tesserino venatorio, il caso umbro
E poi c’è il caso del tesserino venatorio. “In Umbria – rilevano -pare che esso sia stato realizzato soprattutto per i controlli di routine e per sanzionare gli appassionati ad ogni uscita, quando non compilato a dovere”. Con il paradosso che però non si è in grado di conoscere il numero degli abbattimenti e le specie interessate secondo le annotazioni effettuate dai cacciatori che, altrimenti, sarebbero stati sanzionati.
Il carniere tortore
Tanto che in Aula l’assessore Morroni, argomentando i motivi del mancato avvio della caccia alla tortora in Umbria, evidenzia come qui il carniere risulti molto abbasso a causa delle mancate annotazioni sui tesserini effettuate negli ultimi anni. Ma sempre Morroni ha portato in Aula dati che si sono fermati al 2017, quelli di cui al momento la Regione dispone.
“Ma tranquilli. Nessun pericolo – è il sarcastico e amaro commento dei cacciatori – per i polmoni di chi dovrà controllare: la polvere che sovrasta gli scatoloni delle ultime annate (dal 2018 al 2022) è assai meno di quella degli scatoloni chiusi nei magazzini fino al 2017. Ma chi (e soprattutto ‘quando’) – si chiedono – l’ufficio caccia regionale potrà consegnare all’Ente richiedente il numero degli abbattimenti delle rimanenti annate venatorie relativi alla specie tortora (Streptopelia turtur)? E ‘quando’ arriverà la risposta contenente il numero massimo di Tortore che si potranno prelevare in questa annata 2022/23? A nessuno, per ora, è dato a sapere…”. Perché la media dei 6mila capi abbattuti di cui ha parlato Morroni in Consiglio – che porterebbe il carniere in Umbria a 3mila esemplari – è solo una stima, non essendo ancora disponibili i dati effettivi degli abbattimenti degli ultimi 5 anni”.
“Chi – si chiedono i cacciatori firmatari di questo ennesimo appello – si occuperà del censimento? Lo farà l’Amministrazione stessa? Un’azienda privata esterna? Oppure le associazioni venatorie? Ma con quali tempistiche? E con quali costi? E chi pagherà, di grazia?”.
Perché controllare (e annotare) i dati registrati dai cacciatori nei loro tesserini dal 2018 a oggi è un lavoro complesso. “Specialmente adesso – rilevano – che gli interessati sentono già l’odore di settembre e dell’apertura della stagione di caccia! In altre regioni – viene sottolineato – l’ABC della gestione faunistica, della pianificazione del territorio e della programmazione del prelievo venatorio ha un’altra declinazione. Cominciando proprio dai tesserini venatori, dalla loro consegna al loro rientro”. Una gestione ben diversa da quella fatta finora in Umbria. E per questo si chiede conto dell’operato dei dirigenti e dell’apparato burocratico del tema caccia in Umbria.
Ma i firmatari della protesta mandano un messaggio soprattutto alla politica, che “ha fatto la scelta di tenersi stretti i voti dei dirigenti delle associazioni, sottovalutando il rischio di perdere quelli dei cacciatori umbri”.