Ed -Eduardo- Motta è un “ragazzone” di grande verve e simpatia che per non farsi mancare nulla nella sua esperienza di musicista a 360° iniziò la sua straordinaria carriera come vocalist in una band di Hard Rock dal nome spiritoso e spirituale, i Kabbalah. E’ proprio da questo antefatto che si deve partire per conoscere a fondo l’artista, nato 45 anni fa a Rio de Janeiro. Un brasiliano che della saudade o del tropicalismo sa fare sicuramente a meno. Degno figlio della sua generazione, considerato – riduttivamente secondo noi – un epigono del Latin Jazz, ha esplorato i terreni musicali internazionali il lungo ed il largo, trovando sempre ispirazione e sopratutto una sintesi musicale degna dei migliori compositori della scena mondiale.
Ha scritto musica per colonne sonore e pubblicato dischi dove non c’è un genere in cui non si sia cimentato, dal Rural Blues al Reggae passando per il Funk e il Soul. E naturalmente il Jazz. Se si vuole dare un confine alla sua produzione artistica potremmo azzardare che l’alfa e l’omega di Ed Motta sono Entre e ouça del 1992, in cui la “lezione” degli Steely Dan è presente ma anche superata. Ed infine Aor del 2013, dove suono e arrangiamenti si raffinano al punto di emulare proprio colui che fondò, crebbe e poi superò gli Steely Dan, il grande Donald Fagen.
Entrambe i concerti sono stati un trionfo, e l’artista come sempre non si è risparmiato anche se esibirsi da solo con un pianoforte ed una chitarra è veramente un salto nel buio anche per gente dal cuore forte. Eppure Ed Motta riesce a divertire, dialogare con grande simpatia e a reggere la fatica di quasi 2 ore di spettacolo. Ciò che più impressiona è la musicalità dei pezzi che nascono per essere suonati con più strumenti ma che Motta riesce a far diventare cose nuove e piacevoli anche senza il suo collaudato quintetto. Una capacità tecnica indiscussa che ne fa un artista, come detto, a 360°. un vero cittadino del mondo, fuori dagli stereotipi.
Ed, la prima cosa che vogliamo chiederti è più che altro una curiosità. Come mai due sole tappe in Italia e da solo. Siamo abituati a vederti in giro per l’Europa con il tuo quintetto. E’ una tua scelta o una esigenza organizzativa?
Devo essere chiaro, è per il budget. Io amo davvero suonare in Italia perchè ho forti relazioni di amicizia con questo paese, ma i compensi sono troppo bassi e io non posso portare con me la mia band così sono costretto a venire da solo.
Negli ultimi lavori anche la tua immagine è cambiata, trasmetti l’idea di un artista musicalmente molto maturo. Hai suonato molto e dapertutto, in qualche maniera hai anche cambiato molti generi musicali. Nel tuo ultimo video Overblown Overweight (CLICCA QUI) c’è l’esempio perfetto di questo nuovo stile. Raffinatezza musicale, attenzione nel vestire e citazioni personali come la tua passione per i vini importanti. Sembri meno brasiliano e più cittadino europeo. Che ne pensi?
Sai, credo di essere più cittadino del mondo che altro. Non amo gli stereotipi, siano essi europei o brasiliani. Voglio dire come quei brasiliani che stanno in spiaggia che guardano il calcio e mangiano i fagioli. Devo dire che in questo senso i miei interessi sono più orientati all’Europa. Ma con l’Italia io ho rapporti anche più forti di quelli con la gastronomia (Ci scappa una risata generale. In Istagram si trovano delle clip di Ed Motta a Bologna entusiasta per una cena a base di tartufo ndr.). Amo i fumetti di Benito Jacovitti e il suo Cocco Bill, o quelli di Hugo Pratt e il suo Corto Maltese. Ma amo anche il cinema di Visconti, Rossellini, Fellini e Totò. Io amo davvero Totò. Ho forti legami naturalmente con la musica. Artisti come Pino Daniele, Tullio De Piscopo, Tony Esposito, Nino Buonocore, Enzo Avitabile.
Allora anche James Senese…
Si, vero James Senese di Napoli Centrale, vero.
Ma tu conosci la scena Progressive rock italiana?
Si. Le Orme, Premiata Forneria Marconi, Banco del Mutuo Soccorso, Quella Vecchia Locanda, Arti e Mestieri, Perigeo. Di loro ho tutti i dischi (Motta è un collezionista sfegatato di vinili di ogni genere musicale ndr.). Eppoi Area e Demetrio Stratos.
Eppoi il jazz italiano. Il migliore periodo, quello che io preferisco, è quello degli anni ’60 con Guido Basso, Oscar Valdambirini, Renato Sellani, Mario Rusca, Claudio Fasoli (tenor-sassofonista anche nel Perigeo ndr.).
Eppoi adoro le colonne sonore dei film quelle di Piero Umiliani, Bruno Nicolai, Piero Piccioni, Nora Orlandi (i celebri 4+4 di Nora Orlandi ndr.), e chiaramente Ennio Morricone. Nella mia collezione è l’artista di cui posseggo più album in assoluto. Ne ho 200! Una Pazzia –mentre sorride palsemente soddisfatto– ma poi ho anche un sacco di roba differente, come Alan Sorrenti, Lucio Battisti e altri.
Hai una voce inconfondibile in tutti i registri del cantato. Alti, bassi, ti piace fare lo Scat, imitare gli strumenti. C’è qualcuno a cui ti sei ispirato, magari Al Jarreau o Kurt Elling, solo per citare qualcuno?
Non so quando è cominciata questa cosa, perchè a dire il vero il primo cantante che mi ha influenzato è stato Maurice White degli Earth Wind and Fire. Poi Stevie Wonder e Donny Hathaway. I miei primi contatti con i cantanti jazz sono stati con Eddie Jefferson, Mark Murphy etc. Ma quello che ci tengo a dire è che prima di tutto io sono un compositore, un cantautore. Si dice così no.
Voglio dirvi però che essere in Italia e una forte emozione. Il mio bisnonno era calabrese. Quando sono qui mi commuovo per tante cose sopratutto semplici, cose di tutti i giorni. Sono affascinato dalle Frappole, questo dolce semplice e incredibile che ho mangiato a Venezia (le nostre frappe o chiacchiere ndr.). Ma ora di dolci non posso mangiarne troppi, devo stare attento alla mia salute.
Ed, non hai mai suonato in Umbria. Pensiamo specificamente a Umbria Jazz. Perchè questo? Non c’è stata mai occasione oppure non ti hanno mai chiamato? Eppure a UJ sono passati artisti di livello profondamente “diverso” dal tuo, e mai nel senso strettamente positivo della cosa. Cosa è successo?
Si mai stato a Umbria Jazz nella mia vita. Sai c’è una persona, di cui non farò il nome, un agente brasiliano che normalmente gestisce gli artisti del nostro paese per Umbria Jazz. Ebbene questa persona non ama la mia musica. Lo stesso accade per Montreux Jazz, non ho mai suonato a Montreux nella mia vita. Io ho suonato in tutto il mondo ma mai in questi due posti. Uno scandalo, in Umbria c’è questa specie di “mafia” dei Tropicalisti (Gilberto Gil-Caetano Veloso ndr.). Quindi devi essere del loro gruppo. Dato che io sono praticamente fuori dalla “mafia” e faccio mafia da solo…mai chiamato ecco. Sono troppo egocentrico per far parte di qualche gruppo, di qualcosa così.
Prima di salutarci c’è tempo per un scambio veloce su una recente polemica che ha investito Motta in Brasile, per alcune sue dichiarazioni pubbliche che marcavano la distanza tra l’artista e un certo modo di rappresentare la brasilianità. “It’s a shame- è una vergogna”, sottolinea l’artista. Un discorso ancora aperto evidentemente, anche alla luce della sua riflessione sui tropicalisti e sugli stereotipi secondo la nazione di origine. Ma indubbiamente qualcosa che non ha nulla a che fare con il suo valore di artista, un quid che non può essere penalizzato da polemiche che invadono le scelte di gusto di un musicista. Del resto ciò che attiene ai gusti, da sempre non si discute. E nel caso di Ed Motta non ha confini netti. Al concerto di Salerno, l’artista ha eseguito come da tradizione in tutti i suoi spettacoli dal vivo, la splendida Caso Sério di Rita Lee (CLICCA QUI). Un brano profondamente brasiliano. Inutile dire che anche in questa parte d’Europa tutti cantavano con gusto.
Come sempre il confine è solo nella mente delle persone. La musica non va mai ne a sinistra ne a destra. Va oltre.
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Foto: Tuttoggi (Carlo Vantaggioli)
Video: Tuttoggi (Simona Palo-Marilena Gentile)