Esordio alla regia per Valerio Mastandrea con “Ride”, opera prima impegnata per l’attore, ora anche regista, con la quale si è confrontato con i temi delle morti sul lavoro e quello del dolore.
Un percorso sul dolore, intrapreso ormai da qualche anno, che ha portato l’attore romano a sentire l’esigenza di raccontare una storia “dall’altra parte” della macchina da presa. Queste le sue parole prima della presentazione di “Ride” al Politeama di Terni in un’intervista informale prima di entrare in sala.
“Sento una responsabilità come regista – ha sottolineato Mastandrea – e mi premeva affrontare questi temi. Il dolore, quello di una donna per la perdita del marito, e il dramma delle morti sul lavoro, argomento troppo spesso dimenticato se non quando viene riportato un fatto drammatico di cronaca”.
Non è la prima volta che Mastandrea si mette dietro una cinepresa, anche se fino a questo momento ha realizzato videoclip e corti, generi che non hanno l’ampio respiro del film “Ride”.
“Un passaggio naturale – ha spiegato il regista – non ho sentito alcun ‘trauma’. Mi sono scoperto un regista a volte anche pignolo e perfezionista; vorresti che gli attori interpretassero la scena come tu, da attore, la faresti, e non è facile stare al proprio posto. Devo ancora imparare, ma non so neanche se questo sarà il mio futuro e continuerò. Per ora sentivo l’esigenza di raccontare questa storia e la scelta di una donna come protagonista è stato soltanto un caso. Quel drammatico caso che, spesso, lascia mogli, figlie, sorelle prive di un caro per morti che non dovrebbero verificarsi”.
La genesi del film, che ha attinenza con il titolo “Ride” (la vedova protagonista non riesce ad esprimere il dolore per la morte del marito), si spiega con la lettura di alcune interviste di vedove che hanno subito il lutto di morti bianche lette da Mastrandrea: “Mi sono chiesto – sottolinea il regista – come fanno queste persone a confrontarsi subito coi media e con la politica di un certo tipo subito dopo un dramma simile? Non è che stanno perdendo il momento per riflettere sul dolore, attimi che poi non recupereranno più?”.
L’interrogativo rimane aperto, così come la situazione della protagonista del film, Chiara Martegiani, che vive una situazione di eterna attesa, o assenza, di emozioni. La donna dovrebbe essere disperata per la perdita del marito, ma non riesce a piangere e a disperarsi. Come giustificare tale reazione di fronte alla società che ‘impone’ il lutto?
Ancora una volta, l’interrogativo rimane aperto.