Cronaca

Pd in crisi, partito feticcio o partito pop? | A Terni, “Alcuni sono peggio di Gasparri e Brunetta”

Brexit, fallimento delle amministrative, ruolo dei circoli, crollo della militanza e degli iscritti, personalismi e divisioni interne, il Pd di Terni si è interrogato ieri, con un dibattito organizzato dal consigliere Valeria Masiello nei locali del Fat, sulla crisi che sta attraversando il partito democratico a livello nazionale e locale. Sono emersi spunti interessanti nel dibattito, coordinato dal segretario provinciale Carlo Emanuele Trappolino, al quale hanno preso parte il segretario regionale, Giacomo Leonelli, Antonello Fiorucci delle direzione comunale, Giulia Falcinelli, segretaria comunale dei Giovani Democratici e Sandro Piermatti, consigliere comunale dem. Dalla discussione è emerso un quando non certo incoraggiante per il partito democratico che si trova a fare i conti con tanti problemi in vista del congresso nazionale che dovrebbe svolgersi entro fine anno. Opinioni e prese di posizione piuttosto decise e dure; alcune, inaspettate che hanno creato qualche imbarazzo.

Le conclusioni del tavolo del confronto sono state affidate a Francesco Verducci, senatore nella Commissione Affari Esteri. Proprio l’onorevole Verducci, raccogliendo le voci di dissenso ha cercato di riassumere quali siano i malumori dei dem, rispetto a una mutata direzione che il Pd ha intrapreso rispetto ai presupposti con il quale era nato. Parole pesanti nei confronti di una parte dirigenziale del Pd, accusata di essere addirittura ‘peggio di Brunetta, Di Battista e Gasparri’: “Il grande rammarico che ho – sottolinea Verducci – è che è mancata una strategia per la partecipazione. Siamo andati per le vie brevi di appaltare il nostro partito ai leader più forti sui nostri territori. Non basta, non siamo più nel mondo che privilegia un consenso personalistico, serve una partecipazione reale. Non serve far finta di avere tante tessere o fare tanti iscritti, serve avere un gruppo dirigente autorevole che sia in grado di costruire partecipazione, soprattutto nei posti lontani dove è più difficile stare. Bisogna ripartire dai fondamentali altrimenti verremo spazzati via. La priorità che oggi abbiamo è dare risposte ai grandi temi sociali. Il 41% del 2014 alle europee me lo ricordo: avevamo meno logorio dato dal governo, meno tossine date da un dibattito interno di alcuni dirigenti che sono peggio di Brunetta, Di Battista e Gasparri. È una cosa vergognosa”.

La sconfitta nell’ultima tornata di amministrative, obbliga il Pd a una riflessione profonda sull’emorragia di militanza che sta lasciando sempre più isolate le iniziative intraprese dal partito democratico, tema questo sul quale Giacomo Leonelli ha cercato di concentrare il suo intervento: “Siamo un partito che tende a stare molto sui giornali quando si litiga piuttosto che per i progetti che abbiamo. Il tema della fisionomia del partito nella società attuale è sempre più stringente. Rischiamo che formi un’opinione pubblica – sottolinea il segretario regionale – che si fonda su notizie non corrispondenti alla realtà, si crea una comunicazione distorta e surreale che a livello elettorale ha un certo peso.
Sicuramente un modello che non funziona è quella del ‘partito feticcio’ – continua Leonelli – una sorta di rudimento di quello che era una volta. Questa cosa non funziona più, rischiamo di avere modelli autoreferenziali nettamente contrari rispetto ai sentori dei nostri elettori. Spesso abbiamo perso anche dove c’era unità nella candidatura: o era un’unità fittizia con accordi di potere, oppure quel gruppo dirigente era completamente disconnesso rispetto agli elettori”.

Si ha la netta sensazione che ormai ci sia una certa distanza tra l’elettorato dem e i piani alti del palazzo che, secondo quanto emerso dal dibattito, non rappresenterebbero più il modello partecipativo e popolare di adesione che aveva ridato alla sinistra italiana nuova linfa. Dura la critica del segretario regionale al modus operandi dei circoli, non più rappresentativi di un consenso allargato dei cittadini, ma circoli di nicchia dove spesso la meritocrazia non è premiata rispetto alla militanza. Tema sul quale Leonelli chiama a modello il M5S, più volte preso ora come modello positivo ora come modello negativo rispetto al quale il Pd vuole confrontarsi, forse con la consapevolezza che sono proprio i pentastellati il nuovo ‘nemico’ col quale misurarsi.

“La soluzione? – ecco l’idea di Leonelli sul Pd del futuro – credo che la soluzione sia il partito inteso come casa di tutti, di tutti coloro che hanno un mattone da aggiungere alla nostra casa. Quella casa deve avere le porte aperte, il modello dei circoli che si riuniscono in 7 e credono di rappresentare una quartiere di 15mila persone non funziona più. Significa mettere da parte scelte autoreferenziali e mettere in campo figure che hanno un valore aggiunto, anche se è figlio di un percorso che fa del merito e della meritocrazia un elemento preferenziale rispetto a una lunga militanza. Questo è il dna della sinistra e dell’Umbria; rivolgersi a figure che danno valore a un progetto politico del quale il Pd deve essere contenitore naturale.

Il m5s ha un pregio – sottolinea Loenelli – chi si avvicina ha la sensazione di poter avere una dibattito politico alla pari con gli altri, questo, almeno questa è la mia sensazione, non accade a chi si avvicina al Pd. Se non affrontiamo i temi del principio di lealtà e quello di cittadinanza non faremo molta strada. Il senso di appartenenza a una corrente non può essere più forte rispetto a quello per il partito”.

Tra gli interventi, particolarmente significativi quelli del consigliere Sandro Piermatti, consigliere comunale, e di Giulia Falcinelli, segretaria dei Giovani Democratici che ha portato un punto di vista ‘nuovo’, ma sempre condiviso, rispetto alle voci ufficiali e istituzionali del partito.

Sandro Piermatti ha individuato nella necessità di una ristrutturazione dell’organizzazione del Pd la causa del calo di militanza e partecipazione, unitamente alla poca sensibilità di una parte della classe dirigente, troppo lontana dalle nuove dinamiche politiche: “Calano i militanti, rimangono i dirigenti. L’assenza alle iniziative e la crisi del partito sotto gli occhi di tutti – afferma Piermatti – crisi di militanza e di consensi. La riflessione non è puramente organizzativa, ma una questione più generale a livello politico. Il partito deve essere inclusivo – continua il consigliere dem – con un insieme di valori condivisi che vanno modernizzati; i circoli sono diventati circoli di interessi personali legati a determinate professioni. I circoli vivono se hanno una politica da spendere, insistere così non è la soluzione”.
“Voto di protesta e voto di cambiamento? In riferimento ai recenti risultati delle amministrative, io non capisco il concetto di voto di protesta – continua Piermatti – Città come Torino, dove si è governato bene, sono state perse. Dobbiamo ridefinire percorsi di tipo riorganizzativo, ridare centralità al partito, finirla con le correnti, siamo arrivati al punto in cui ognuno si organizza le proprie iniziative, senza neanche invitare i segretari. Bisogna ridare più potere al partito”.

Giulia Falcinelli, prendendo spunto da un’affermazione di Giacomo Leonelli, ha richiamato l’idea di un ‘partito pop’ da contrapporre al ‘partito feticcio’, intendendo per pop ‘popolare’, cioè a partecipazione allargata, idea che contrasta con la realtà se è vero che, come dice ancora Giulia Falcinelli “Si fa fatica a far credere ai giovani che il Pd sia un’alternativa. Il partito è una comunità – spiega la giovane segretaria – ho convocato i ragazzi per capire cosa si aspettano da esso. Orfini, alla direzione nazionale, ha detto che i giovani che abitano nelle periferie sono quelli che hanno votato meno il Pd e più il M5S. C’è difficoltà a far credere ai giovani che possiamo essere un’alternativa. Non tutti possiamo pensarla allo stesso modo, ma un giovane che legge i giornali e legge che ci sono continui scontri interni si allontana; non solo nelle periferie, ma anche nel ceto medio c’è una perdita importante di voti. Leonelli ha detto che dobbiamo essere ‘pop’ io lo interpreto come ‘popolare’, al pari di tutti gli altri”.