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Tap e Rete Adriatica, da Colfiorito “Snam devasta il territorio” | Geologo Aucone, “manca risposta sismica locale”

C’è più di un filo rosso che collega gli 878 km del gasdotto TAP (Trans Adriatic Pipeline), i quasi 700 della Rete Adriatica e le zone del centro Italia definite ad alto rischio sismico. C’è ben più dei miliardi di metri cubi di gas che quei grossi tubi dovrebbero essere in grado di trasportare, una volta terminate le opere che vedono la Snam (Società Nazionale Metanodotti) in prima linea tra gli azionisti dei tracciati. In questi 13 anni, durante i quali i progetti sono rimasti su carta, cittadini, comitati e associazioni, consigli regionali (come quello umbro) e istituzioni locali si sono opposti a vario titolo agli scavi e alla posa delle grandi arterie del gas. Ed è proprio questo che oggi più che mai emerge: oggi il grido di chi non vuole queste opere arriva dal Salento come da Colfiorito, in Umbria, dove ieri mattina (2 aprile) i comitati schierati contro la Rete Adriatica si sono incontrati per discutere del coordinamento futuro.

Gasdotto Snam dentro al sisma | Le proteste dal Salento a Colfiorito

I No Tubo a Colfiorito – La lista, in centro Italia come altrove, è lunga: a mettere la firma contro la Rete Adriatica in prima linea ci sono Mountain Wilderness, WWF, Brigate di Solidarietà Attiva, Comitato Civico Norcia per l’ambiente, Comitato no tubo, Comitato no devastazioni Umbria, Comitato no acquedotto per la difesa della Valnerina, Mercato Brado, Montanari Testoni Norcia, Comitato No Tubo l’Aquila, Comitato Cittadini per l’ambiente di Sulmona, Comitato Altrementi Val Peligna, Forum Abruzzese Movimenti per l’acqua, Abruzzo Social Forum, Programma 101 Foligno, Confederazione Cobas Umbria.

Ieri mattina hanno definito il gasdotto “un inutile, enorme metanodotto che attraversa la dorsale appenninica devastando i territori con oggettivi pericoli dovuti alla sismicità dell’area, con lo scopo di trasformare il nostro paese in un inutile hub del gas“. Insieme al parere del geologo Francesco Aucone, i comitati chiedono che l’opera venga ritirata: “la narrazione della multinazionale dell’energia giustifica l’ingiustificabile. Siamo contro qualsiasi ipotesi di deportazione delle popolazioni terremotate e rivendichiamo il diritto alla ricostruzione dei borghi e dei paesi di montagna devastati dai terremoti, garantendone la storia, lo stile e l’urbanistica, evitando speculazioni immobiliari“.

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Marche, Abruzzo e Umbria ieri mattina c’erano: mancava il comitato pugliese, impegnato in questi giorni, come è noto, con le proteste nella zona del Comune di Melendugno (in provincia di Lecce) contro la realizzazione del Tap, che dall’Azerbajan porterà il gas fin sulle coste pugliesi. “Ogni terremoto è diverso da un altro”, spiegano al telefono con TuttOggi.info i rappresentanti del Comitato No Tubo. “E’ stato scelto il tracciato più pericoloso, che inanella tutte le città e le zone toccate dagli ultimi terremoti in Italia: si va da L’Aquila per arrivare a Norcia. E’ chiaro che ormai l’interesse reale non è tanto quello del consumo del gas, perché il suo utilizzo si è dimezzato negli ultimi anni. L’interesse è piuttosto quello di costruire l’opera, perché il movimento terra, grazie al quale verranno piantati i tubi del gasdotto è uno degli affari più vantaggiosi di sempre“.

A Lecce intanto proprio in queste ore a centinaia si sono ritrovati per le strade della città, fino a convergere in piazza Sant’Oronzo, per manifestare contro lo sradicamento dei 211 ulivi secolari dalle campagne del melendugnese, dove verranno effettuati gli scavi per il Tap. Ulivi che assicurano verranno poi ripiantati: perché il gasdotto resterà interrato. Ma in questi giorni la protesta è continuata a montare, raggiungendo punti di tensione molto alti tra i manifestanti e le forze dell’ordine. Fino a quando a manifestare non sono scesi anche dei bambini delle scuole elementari dei territori, di fronte ai quali la polizia, schierata sul cantiere, ha avuto l’ordine di togliere i caschi.

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I dubbi sul progetto partono da lontano: da quando, ci dicono i No Tubo, la realizzazione del rigassificatore di Brindisi, che avrebbe dovuto fornire la linfa a Rete Adriatica, è stato bocciato, e per il quale non è stato presentato variante di progetto. La paura, oltre all’impatto ambientale che potrebbero avere le opere, sta nelle esplosioni che le lingue di gas sotto terra potrebbero causare. “Snam afferma che – continuano i No Tubo – seguire un tracciato diverso da quello in montagna creerebbe delle strozzature agli insediamenti urbanistici in crescita esistenti sulle coste adriatiche in Italia. Eppure studi scientifici hanno illustrato come in zone ad alto rischio sismico, come quelle nell’entroterra marchigiano e in Umbria, è molto pericoloso effettuare delle sollecitazioni al terreno: di fronte a fagliature e spaccature a vista, con apertura del terreno in superficie, sconnessione del piano di campagna, nessuna opera costruita dall’uomo, di nessun genere, può resistere a tali fenomeni; è noto ed ampiamente riportato in letteratura”.

Un esempio è il caso della galleria di Forche Canapine, che dopo il sisma del 30 ottobre, ci racconta il consigliere regionale Andrea Liberati (M5S) presente a Colfiorito, si sia spostata di circa 50 centimetri dalla sua sede. “Il problema della galleria apparentemente è legato al soffitto, riquadrato, affinché ci passi la ventilazione. A fronte della presenza di faglie trascorrenti, il comportamento del terreno nei confronti di strutture interrate (come accadrebbe con l’inserimento di un tubo) è tale per cui non c’è sistema per evitare l’esplosione. L’Umbria ha detto due volte ‘no’ alla realizzazione dell’opera, mentre Norcia, dove il progetto dovrebbe insistere sulle ‘Marcite’, non si è mai realmente schierata contro il gasdotto. La SNAM, per tentare l’impossibile e costruirlo lo stesso lungo le faglie degli Appennini si giustifica, sostenendo che, nel terremoto del Friuli, il tubo non si mosse: affermazioni antiscientifiche, perché si narra di un solo evento!“. Liberati, nell’annunciare che il M5S continuerà a vigilare e a raccogliere il dissenso dei cittadini, riporta anche quanto detto dal geologo durante l’incontro: “la SNAM, per risparmiare, si affida a mere proiezioni, senza analizzare la risposta sismica locale, che costa denari e riduce i profitti. Se però si fosse svolta tale analisi, avremmo scoperto che l’opera sarebbe stata molto più costosa e quindi irrealizzabile: le multinazionali, col concorso della peggiore politica, preferiscono speculare senza limiti, mettendo in pericolo le popolazioni, anziché tutelarne la vita umana. La battaglia è dunque appena cominciata: un filo comune di speranza, da Brindisi a Minerbio, per poi ridiscendere fino a Roma”.

Le proposte – Ed è su questa stessa linea che il Coordinamento Nazionale No Tubo ha deciso di unire tutte le voci e di coordinarsi, in maniera congiunta e decisa, dalle coste della Puglia e fino a salire all’Umbria, toccando Marche e Abruzzo, per esprimere il proprio fermo e convinto ‘no’ alla realizzazione dell’opera. Il tracciato in Italia, nonostante non sia ancora chiaro se il Tap si ricongiungerà direttamente con il Brindisi-Minerbio e dunque con la Rete Adriatica che attraverserà anche l’Umbria, da Foligno a Sestino in Toscana, è diviso in cinque tronconi, che dunque spezzettano a loro volta gli ‘interessi’ delle singole comunità rispetto al macro-progetto. Ma per i comitati questo non deve essere un freno: piuttosto una marcia in più. Gli attivisti useranno tutti i canali a loro disposizione, dai social network fino alle assemblee popolari di informazione. A riguardo a maggio verrà convocato a Norcia un prossimo incontro, di respiro nazionale. E proprio perché ci si trova di fronte a un progetto diviso in 5 tracciati, dalla Puglia fino a Minerbio, in Emilia Romagna, a Colfiorito è stato deciso di coordinarsi attivamente con i NO TAP del Salento.

L’indagine de L’Espresso – La storia poi non finisce qui: si aggiungo dettagli “piccanti” nel racconto dei giornalisti Paolo Biondani e Leo Sisti, i quali su L’Espresso, hanno ricostruito trame e retroscena della lunga storia del gasdotto Tap. In base alla loro inchiesta, esisterebbe infatti un groviglio di interessi di mafia e storie di riciclaggio internazionale di denaro legato all’attuale manager che gestisce la società ‘madre’ che ha progettato il tracciato. Dopo la pubblicazione, riportata anche da Il Fatto Quotidiano.it, la Tap ha dichiarato che nelle prossime ore sporgerà querela contro L’Espresso.

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Modificato martedì 4 aprile, ore 12.04