di Stefano Frizza*
Chi ha operato e opera ancora al centro storico di Perugia è consapevole – chi non lo è è ormai fuori dalla storia e dal mercato – che il passato, con i suoi micronegozi e botteghe artigianali, non tornerà. E’ irripetibile pensare di poter contare su una popolazione che un tempo superava le 60mila unità. E’ impensabile allo stesso modo usufruire dei benefici di 30mila iscritti all’Università degli Studi e alla Stranieri. Il centro è un organismo vivente: si modifica, subisce i flussi migratori, le chiusure, gli interessi soprattutto di una elite politica o residendiale, subisce anche i mali del secolo: lo spaccio e la violenza. Ma allo stesso tempo vivere ed operare al centro storico consente di godere di un constesto storico unico, che è soggetto a turismo, che è punto di riferimenti di una comunità che non si è persa nella periferia tutta-uguale, che porta avanti una tradizione, e che è soggetto di una nuova peruginità miscelata tra nativi, migranti e studenti che poi rimangono nell’acropoli. Un contesto, dunque, affascinante, unico, con una sua economia potenziale.
Ma detto questo sono necessarie azioni, piccole e grandi, per favorire una crescita, limitando i laccioli burocratici e la concorrenza sleale. Ho molto apprezzato l’idea di un super-manager per l’acropoli che sappia coniugare commercio e residenzialità. La proposta porta la firma del vice-sindaco Nilo Arcudi. Vado nel concreto: con un super-manager – anche se sarebbe bastato il buon senso… – sono sicuro che non sarebbe stata avallata l’ennesima manifestazione al centro storico che non aiuta nessuno, tranne pochi standisti. L’ennesimo (falso) mercatino, che sta occupando gran parte di Piazza Italia, di Piazza IV Novembre, via Fani e Corso Baglioni, è di fatto una fiera dei non prodotti tipici locali. Il 60 per cento delle bancarelle offrono arancini, biscotti, dolci siciliani. E ancora torrone, formaggi e creme di formaggio provenienti dalla Sardegna. E poi olive, pane, ortaggi provenienti dalla Puglia e dalla Calabria. Infine, ci mettiamo anche il pane, le ciambelle, lo speak e i salsicciotti provenienti dal Sud Tirol. Tollerabili gli stand umbri di norcineria che almeno propagandano il nostro territorio regionale. E gli artigiani? E le curiosità? Poche rispetto agli alimentaristi. L’evento griffato dal Comune non dà risposte al centro e ai suoi operatori. Prendiamo ad esempio le pizzerie, i bar, le paninoteche e gli stessi ristoranti: nel periodo Pasquale senza i perugini in trasferta e gli studenti a casa, la loro economia si deve reggere sui turisti. Se questi però vengono sviati da bancarelle alimentari che stuzzicano (con il 20-30% in più rispetto al listino dei nostri locali) l’appetito ecco che il fatturato scende tra il 40/50 per cento. Una situazione che va ad aggravare le ulteriori perdite per chiusure anticipate, lo Ztl, lo spopolamento degli studenti e la crisi economica internazionale. I mercatini non possono ospitare banconi alimentari perché non producono un giro di turisti e clienti tali che possono scegliere tra le varie offerte presenti in città. Non sono eurochocolate di Guarducci che portando un milione di persone nell’acropoli porta clienti per tutti, facendo passare inosservati i punti di ristoro sotto forma di stand.
Non è un ponte Pasquale a decretare le sorti di una azienda. Ma se l’amministrazione commette passi falsi persino in queste piccole iniziative allora vuol dire che è necessaria una riorganizzazione che vada oltre i progetti fatti fino ad oggi. Serve una mente non politica, ma tecnica, per ridisegnare il futuro dell’acropoli che non è ovviamente solo commercio, ma è una politica degli affitti più bassi dei locali e delle case, è una strategia sulla sicurezza, è favorire l’eccellenza sul basso prodotto. Tutto questo si può fare con un super-manager che va individuato da tutti i soggetti interessati. L’amministrazione comunale non può difendersi soltanto citando 200-300 giorni di iniziative, quando quest’ultime sono in gran parte basate su mercatini di prodotti non tipici e di gastronomia non locale che non favoriscono il made in umbria e tantomeno gli operatori del centro storico che perdono lavoro. Le grandi mostre (vedi la recente sul Perugino), la produzione culturale (vedi Umbria Jazz) e persino gli appuntamenti degli artisti da strada sono ormai limitati o semi-nascosti a Perugia, mentre in Toscana e nelle Marche, sono veicolo di turismo, vitalità e ricchezza. Chiudo con una domanda: Ma la politica si è mai chiesto quale tipo di turismo vuole intercettare? Quello che porta ricchezza o quello di semplice passaggio? Con un super-manager in attività questa domanda sarebbe la prima a cui darebbe una risposta per iniziare a preparare, insieme alle forze sociali ed economiche, un piano di rilancio del centro storico. Senza il quale si naviga a (s)vista.
PS – Sulla sicurezza: vorrei far notare che l’esempio del controllo dei vandali e degli spacciatori in centro sono stati arginati in gran parte d’Europa e persino negli stadi si sta limitando il fenomeno. Tutto questo dimostra che le soluzioni ci sono, basta imitarle e applicarle anche da noi.
(*) commerciante Caffè Bonazzi, ideatore delle manifestazioni Spirti & Liquori-Wine e Acquavite italia