Una temporanea sospensione degli accertamenti relativi agli studi di settore: è la richiesta forte e urgente che Confcommercio Umbria e il sindacato Federmoda hanno rivolto all’Osservatorio Regionale Studi di Settore, perché a sua volta se ne faccia portavoce a livello nazionale, depositando un documento in questo senso in occasione dell’ultima riunione dell’Osservatorio stesso. Una richiesta che parte dall’Umbria, e che Confcommercio aveva peraltro già avanzato ad inizio anno, come una delle misure necessarie per dare ossigeno alle imprese.
“Gli studi di settore mai come in questi momenti di crisi pesantissima, e per ora non superabile – sottolinea il presidente di Confcommercio Umbria Aldo Amoni – sono distanti dalla realtà economica delle aziende. Aggiunti ad una pressione fiscale che incide per oltre il 55%, stanno mettendo in ginocchio le nostre attività, e fanno la differenza tra la decisione di continuare a fare impresa o arrendersi”.
Confcommercio e Federmoda suffragano la propria richiesta sulla base dell’analisi sulla applicazione degli studi di settore nel 2011 e di una prima valutazione del periodo di imposta 2012. I soggetti non congrui sono risultati essere il 26%, valore analogo a quello dell’anno passato. Ma una differenza importante c’è: il valore medio dello scostamento tra i ricavi attesi dallo studio e quelli emersi dal fatturato dichiarato dalle imprese è nel 2011 pari al 29,84%, con un aumento quasi del 10% rispetto al dato del 2010 (quando era il 20%). “Questa tendenza – evidenzia ancora Amoni – si è drammaticamente rivelata fin dal termine del periodo d’imposta 2011 e permane anche nel 2012. Insomma, non solo oltre il 25% delle imprese vive una situazione economica che è ben lontana da quanto presume lo studio di settore, ma questa ‘distanza’ nel 2011 e nel 2012 si è accentuata enormemente rispetto al 2010, segno che la crisi negli ultimi due anni ha avuto effetti dirompenti. Non solo: anche i soggetti congrui (nel 2011 il livello dei soggetti naturalmente congrui si è attestato su base regionale al 59% circa, in linea con il dato medio del 2010; ad essi vanno aggiunti i contribuenti non congrui, ma che si sono adeguati spontaneamente alle risultanze degli studi, circa il 15%, dato anch’esso sostanzialmente invariato rispetto al 2010, per un totale del 74% di soggetti in linea), in diversi casi lo sono risultati in virtù di una riduzione dei costi, dovuta ad esempio al ricorso alla cassa integrazione. In una situazione così drammatica, con un sensibile peggioramento nel 2012 rispetto all’anno precedente, come avvalorato anche dai dati sulle chiusure delle imprese commerciali nei primi mesi dell’anno, la sospensione dello strumento accertativi – conclude Amoni – è una scelta obbligata se non si vuole distruggere il nostro tessuto imprenditoriale”.
Tra le attività del terziario soffrono particolarmente quelle del settore abbigliamento-calzature: “La forbice tra ricavi attesi e quelli effettivamente dichiarati – sottolinea Carlo Petrini, presidente del Settore Moda Confcommercio della provincia di Perugia – si è allargata sempre di più, e il 2012 si prospetta come l’anno peggiore di questa lunghissima congiuntura negativa, che ha colpito il nostro comparto prima e più degli altri. Alla luce di questa situazione il nostro sindacato provinciale, primo in Italia – prosegue Petrini – si è mobilitato da anni per una adeguamento dello studio relativo al comparto. La sospensione degli accertamenti è una misura necessaria, e sarebbe grave se l’Osservatorio nazionale, a cui l’Osservatorio regionale la sottoporrà, non la prendesse nella giusta considerazione. Ma nel frattempo chiediamo anche una maggiore attenzione durante gli accertamenti, una minore invasività, una maggiore specificità nel contraddittorio con l’azienda. Ogni situazione oggi rappresenta un caso a sé, e come tale va valutata, perché le imprese del nostro comparto vivono una realtà drammatica, che richiede azioni e interventi di carattere straordinario anche da parte delle istituzioni”.