(Carlo Vantaggioli)– Quai Quest, pièce teatrale vista ieri (12 luglio ndr.) al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti, ha delle ambizioni che nella messa in scena di Spoleto57, rimangono disattese.
Non temiamo di dire che è forse la cosa meno interessante, nel programma di teatro della manifestazione, vista finora al Festival.
E Dio ci scampi dal commentare la regia di Paolo Magelli e tutta la produzione del Teatro Metastasio-Stabile della Toscana, attori inclusi, ai quali va il nostro rispetto per il lavoro svolto. Peraltro le scene di Lorenzo Banci sono molto interessanti, come anche l’artificio scenico del fango come palcoscenico, che condiziona, in tutti i sensi, le due ore di durata della pièce.
Ma evidentemente il testo del controverso commediografo francese Bernard Marie Koltès, morto prematuramente per le complicazioni dovute all’Aids nel 1989, è esso stesso una scrittura complessa di degrado e fenomeni sociali che, visti alla luce degli accadimenti di questa epoca, sembrano essere persino scontati e di una attualità datata.
L’opera di Koltès nasce dopo un viaggio dell’autore in America nella quale lo stesso si imbatte nelle scene dantesche di periferie abbandonate e socialmente degradate, come tante ce ne sono ormai in ogni parte del mondo. Da li, il bisogno di scrivere per raccontare e forse anche denunciare. Koltès nella sua vita è stato anche militante del Pcf, il Partito Comunista Francese, quindi non esente da un impegno sociale e poltico di matrice ideologica. Una impronta che lascia il segno anche nella scrittura di Quai Quest, o in ciò che abbiamo sentito nella versione tradotta di Saverio Vertone.
La storia è molto semplice, per qualche verso, e riguarda un manager o imprenditore, che decide di uccidersi e per farlo sceglie il luogo più degradato di quella società che non gli appartiene, anche se con il suo lavoro ha creato le condizioni perchè esistesse. Intorno a lui ruotano i personaggi, attori consapevoli o meno di quel mondo che è già cadavere da tempo e che aspetta solo un dramma finale per chiudere il sipario della vita.
Nella nota di regia di Paolo Magelli, presente nel programma di sala si legge che “Koltès ha il coraggio di mettere sulla carta una struttura shakespeariana, ponendo, proprio come il grande maestro inglese, il monologo al centro della sua drammaturgia”. Magari in Quai Quest questo aspetto koltesiano è meno evidente, motivo per cui alla fine questi personaggi risultano al di là di ciò che dicono davvero datati. Una prostituta che naturalmente fa il mestiere per sostenere la famiglia, suo marito ovviamente inabile al lavoro e naturalmente innamorato della moglie di cui tollera il meretricio, e i suoi due figli uno innocente ed uno sulla cattiva strada, ovviamente. Un punk dedito alla sopravvivenza, ovviamente, e al quale nel corso di una pioggia in scena si scioglierà anche il colore della cresta (imperdonabile), una segretaria del manager-imprenditore, naturalmente isterica e ovviamente “bona”. Un uomo di colore “negro”, naturalmente, che non parla ma emette suoni disperati, e di cui tutti si servono per le porcherie peggiori, ovviamente. Il manager possiede un orologio, Rolex, una macchina, Jaguar, un accendino Dupont, scarpe Weston e nessun soldo in tasca ma solo carte di credito, ovviamente!
Nei dialoghi, e non nei monologhi, se si vuole accentuare la tensione animica di un personaggio ci sta bene anche un bestemmione al padreterno e se si deve rappresentare una scena di sesso è bene farla davvero, con tanto di pantaloni mezzi calati, sedere maschile rivolto al pubblico e cosce aperte, nella “sveltina” più sveltina del mondo. Che diamine!
Ecco a noi, ai quali non difetta l’età, tutto questo sembra così teatralmente antico e convenzionale che l’indifferenza ci coglie mentre cerchiamo di capire meglio dove sia in tutto questo, l’attualità del testo di Koltès.
Ma l’apoteosi finale è quando il “negro”, operatore di porcherie per conto terzi, ormai dotato di un mitra Kalashnikov, compie l’opera di pulizia finale, in tutto e per tutto simile alla scimmia di Odissea nello Spazio di Kubrick, quella che con una tibia in mano scopre la violenza e quindi l’origine del potere.
Il “negro” che uccide i bianchi! Da leccarsi i baffi.
E ci siamo colpevolmente dimenticati la prostituta, o meglio la puttana, che poco prima che il “negro” faccia fuori tutti, muore stesa su una sdraio, ovviamente, consunta di malattia, moderna Violetta lercia di fango.
Applausi, non tanti, del pubblico quasi tutto concentrato in platea e qualche “bravo” qua e là.
Insomma, se proprio non si ha di meglio da fare, questo pomeriggio c’è l’ultima replica di Quai Quest al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti alle ore 15.
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Foto (Manfrini)