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Strage di Meltini: “per non dimenticare l'orrore nazista” tra storia e memoria – FOTO

Sullo sfondo la terribile litografia di Aldo Riguccini, che nel 1945 raffigurò tra gli “Orrori” compiuti da nazisti e fascisti anche la strage di Meltini; in aula tanti studenti e cittadini, che hanno seguito la ricostruzione dell'eccidio in cui il 12 o 13 luglio del 1944 furono trucidati Giovanni ed Emilio Giulietti, Luigi e Domenico Bioli, Romolo Carbini: grande partecipazione al convegno La strage di Meltini e gli eccidi dei civili, questioni ancora aperte che si é svolto sabato 10 novembre nella sala del consiglio comunale di Città di Castello. “Siamo qui per non dimenticare e starà ai giovani custodire la memoria e la libertà conquistata a patto della vita” ha detto il sindaco Luciano Bacchetta aprendo i lavori a cui ha partecipato in rappresentanza dei familiari Clara Giulietti: “É una grande consolazione sapere che i nomi delle vittime di Meltini risuonino in un questa aula, che é la casa del popolo. Sono state vittime della ferocia tedesca, che ha distrutto tre famiglie per sempre, unendo alla violenza l'oltraggio ai cadaveri. Speriamo che le nuove generazioni possano capire e difendere la libertá che i vostri nonni hanno conquistato per voi”.
La storia – La strage di Meltini avvenne tra il 12 e il 13 luglio del 1944 in una località vicina a San Paterniano, che in quei giorni era la linea del fronte tra le forze degli alleati, che risalivano l'Alta Valle del Tevere, dopo aver liberato a giugno Umbertide, e le forze tedesche di occupazione. “Le famiglie Carbini e Giulietti” ha raccontato Mario Lepri, parente delle vittime e autore di un dossier sul caso “abitavano il casale dove i nazisti avevano stabilito il loro quartier generale da un mese e mezzo. Poche ore prima della ritirata costrinsero i loro ospiti a scavare delle buche per minare il terreno, intimando di non scappare. Ma temendo l'incalzare della battaglia, i tifernati cercarono di mettersi in salvo oltre il Tevere e c'è l'avrebbero fatta se non avessero deciso di tornare indietro per procurarsi cibo, introvabile nella città contesa dagli eserciti e ormai allo stremo. Dei fuggitivi si salvò solo l'anziana madre malata, che non vide tornare nessuno dei cinque parenti e che fu l'unica testimone oculare dei fatti, poco dopo raccontati dalla allora giovanissima Clara Giulietti e riportati nella pubblicazione Libertá. I tedeschi li avevano uccisi e gettati in una concimaia”.
Nonostante l'efferatezza del crimine e la mancanza di fonti dirette, questa strage non é conosciuta come altri drammatici casi simili: per ricordare le vittime e ricostruire i fatti é stato organizzato il convegno.
La memoria – “Lasciatevi coinvolgere da fatti che non sono così lontani da voi e che si sono svolti nei luoghi dove voi vivete quotidianamente” ha detto Sergio Polenzani, presidente dell'Istituto di storia politica e sociale “Venanzio Gabriotti”, invitando i ragazzi a partecipare alle attività e al concorso annuale diretto alle scuole. “In questi anni abbiamo raccolto migliaia e migliaia di documenti inediti, che altrimenti sarebbero andati persi. É necessario che siano analizzati e studiati: questo compito spetta a voi”. “Non dimenticare” é stata la parola d'ordine dell'Anpi di Cittá di Castello che tramite il presidente Anna Pacciarini ha sottolineato l'esigenza di “ricostruire ogni tassello mancante perché nessun crimine rimanga senza colpevoli. Anche questo é un modo per dare forza ai valori della democrazia che si nutrono di veritá”.
Nella sua relazione sulla situazione dell'Alto Tevere e il passaggio del Fronte, Alvaro Tacchini ha sottolineato che le vittime civili furono oltre 120 di cui 77 in Alta Valle del Tevere: ” Le consegne erano chiare: era una guerra senza esclusione di colpi per i tedeschi che avevano disposizioni molto precise rispetto al nemico, fosse civile o militare, diversamente dai partigiani, che essendo del luogo, temevano che le loro azioni di attacco potessero ripercuotersi contro i loro stessi familiari”. Tracciando una mappa delle principali stragi, da Pian di Brusci a Penetola, dai 40 martiri di Gubbio a Serra Partucci, Tacchini ha parlato di “una lunga scia di sangue innocente che i tedeschi la-sciarono dietro alle truppe ormai in ritirata”. “Il postino Carbini era un uomo grande e grosso sempre con il sorriso” ha ricordato Dino Marinelli, che bambino visse i giorni in cui Città di Castello fu teatro di guerra. “Le persone non riuscivano a capire e si chiudevano in un silenzio cupo davanti a fatti inauditi, a persone che scomparivano e di cui sottovoce si raccontava la morte terribile in cui erano incorse. Sono nel mio ricordo pagine molto drammatiche, non solo perché in città mancava tutto ma perché sulle case aleggiava la paura di essere rapiti da questa forza più grande e sconosciuta, contro cui nessuno poteva niente”. L'intervento finale é stato di Paola Avorio, dirigente del Secondo Circolo didattico e autrice del volume Tre noci nel quale grazie alle informazioni contenute nell'archivio militare di Friburgo dá un nome e cognome ai militari tedeschi che ordinarono la strage di Penetola. “É importante ricostruire i movimenti dell'esercito per incrociarli con le testimonianze orali e comporre un quadro definitivo su quanto accade in Alto Tevere. Solo così i lutti possono essere elaborati, le stragi avere colpevoli e accettare il dolore che colpì tante famiglie. Questo convegno serve a fare luce sulla strage di Meltini, ad indicare la strada per trovare colpevoli ancora senza nomi, e a tramandare a voi la storia di quella terribile stagione, perché nessuno, approfittando del l'oblio, possa riscriverla”. “Vogliamo che la ricerca parta da dove si é interrotta” ha concluso il sindaco Bacchetta “e per questo incentiveremo studi sugli archivi. Inoltre siamo in procinto di iniziare la programmazione della seconda edizione de L'Italia é una repubblica democratica, un percorso per condividere ideali e storia nati dalla lotta di Liberazione”.

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