2 agosto 1980, quella di Sergio Secci è una delle tante storie che si intrecciano nel dramma dell’attentato alla stazione di Bologna. Nato a Terni, bolognese di adozione, il giovane ternano quella mattina si stava recando da Forte Dei Marmi a Bolzano, dove aveva un colloquio di lavoro con un gruppo teatrale di Treviglio, il “Teatro di ventura”. Sergio Secci aveva trascorso la serata con gli amici di Bologna, poi era partito: ‘fatidica fu la coincidenza’. Il treno sul quale viaggiava era in ritardo e il giovane ternano perse la coincidenza a Bologna: il prossimo treno era previsto per le 10.50.
A Bologna aveva ottenuto una laurea al Dams con una carriera accademica formidabile: tutti gli esami superati con 30 e 30 e lode, un futuro ‘tutto suo’ in ambito artistio-culturale.
Forse aspettava seduto nella sala di aspetto, in attesa di quel treno che lo avrebbe portato a Bolzano, per poi poter raggiungere gli amici in Calabria per trascorrere le vacanze estive.
Poi l’esplosione. Sergio Secci non morì sul colpo, ma rimase gravemente ferito. Trasportato all’ospedale “Maggiore” di Bologna, riuscì a comunicare con i dottori soltanto con cenni del capo davanti a foglietti di lettere dell’alfabeto, con i quali i sanitari sono riusciti a ricostruire le sue origini.
Il giovane ha chiesto ai medici che fosse avvertito solo il padre, non la madre che era malata.
Parlava 4 lingue, 3 mesi vissuti in America per la sua tesi di laurea sul “Bred And Puppet”. Dopo 5 giorni all’ospedale di Bologna, Sergio Secci è morto nel reparto di rianimazione.
Il cordoglio del senatore Pd, Gianluca Rossi: “A Lidia Secci fu strappato il figlio appena ventiquattrenne Sergio, ammazzato dalla bomba di matrice fascista alla stazione di Bologna che il 2 agosto 1980, uccise 85 persone ne ferì 200 e travolse un paese intero. Lidia e suo marito Torquato (Presidente fino al 1995 dell’associazione tra i familiari delle vittime) hanno dedicato le proprie vite ad una sola causa: conoscere autori e mandanti della strage della stazione di Bologna, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Italicus. Solo un mese fa è stata approvata definitivamente la norma che istituisce il reato di depistaggio”.
A scriverlo su Facebook è il senatore del Partito Democratico Gianluca Rossi, che ricorda la strage di Bologna e la sua vittima ternana, Sergio Secci.“ Il post di Rossi prosegue: “Sergio oggi avrebbe avuto 60 anni. In questi anni avrebbe cercato di leggere con la sua acuta intelligenza e sensibilità i cambiamenti che ci stanno travolgendo, avrebbe visto tante altre bombe, ne avrebbe sofferto, e avrebbe combattuto il terrorismo con la lotta politica e culturale che è chiesta a ciascuno di noi, ci avrebbe aiutato a rimuovere ogni fondamentalismo, ad evitare semplificazioni sulle tragedie di quest’epoca, a guardare oltre le presunte linee di confine, geografiche, culturali o religiose. Avrebbe avuto torti e ragioni, semplicemente avrebbe vissuto. A volte ho la sensazione che di fronte a tanti orrori noi stiamo solo sopravvivendo, e non è una bell’eredità per i nostri figli. Non si può sospendere il giudizio, fermare la sete di conoscenza e la ricerca dei veri mandanti delle stragi. Il nostro Paese sconta ancora il peso di aver camminato in acque melmose. Faccio mie le dure parole di Torquato Secci, pronunciate il 2 agosto 1985 davanti alla stazione di Bologna (senza sapere che sarebbe stata ancora lunghissima e dolorosa la sua ricerca di verità): ‘la triste esperienza del nostro impegno civile ci porta a concludere che la più profonda indignazione, o anche la più sincera pietà se pure tenute vive per cinque anni, non sono una sufficiente barriera al ripetersi delle stragi; è necessario un impegno ben più importante e costante per evitare che le orribili disgrazie ieri capitate a noi, capitino domani, ad altra gente”. Il post del senatore Rossi si conclude con “un abbraccio caro a Lidia”.