Un apprendista guadagna il 5,8% in meno della media in Italia, un impiegato l’8,9%, fino ad un dirigente che addirittura percepisce uno stipendio inferiore del 16,1%. Con le donne che guadagnano ancora di meno. Sono questi i significativi dati che emergono dall’ultima analisi dell’Agenzia Umbria Ricerche (Aur) sulle basse remunerazioni del lavoro nel territorio regionale.
La ricerca firmata da Elisabetta Tondini evidenzia una problematica in realtà esistente da tempo nella regione. Dove a fronte di una crescita degli occupati umbri (nei primi 9 mesi del 2023), maggiore rispetto al dato nazionale, si assiste al fatto che i dipendenti privati continuano a guadagnare meno rispetto alla media italiana.
“Che in Umbria si guadagni meno rispetto alla media del Paese non è un fatto nuovo, anzi, è ampiamente noto, è strutturale, radicato nei caratteri che hanno forgiato lo sviluppo della regione” viene spiegato dall’Aur. Ovviamente c’è una forte eterogeneità nelle singole situazioni, ma, in sintesi, nel 2022 in Umbria la retribuzione media dei lavoratori privati extra-agricoli è stata pari a 22.222 euro, a fronte dei 22.839 euro nazionali. In Umbria impiegati, quadri, dirigenti guadagnano mediamente (anche molto) meno rispetto ai colleghi italiani di pari qualifica.
“Un’analisi effettuata sui soli lavoratori standard (quelli impiegati a tempo indeterminato, full-time, retribuiti per l’intero anno) rivela un’accentuazione del divario territoriale. In questo sottoinsieme più omogeneo (che interessa i due quinti del totale dei lavoratori, in Umbria come in Italia) si scopre infatti che la retribuzione media annua nella regione è risultata pari a 30.872 euro e quella nazionale a 37.360 euro, per un delta complessivo secco di -17,4 per cento. Tale distanza, minima in corrispondenza degli apprendisti e massima tra i dirigenti, depurata dalla composizione per qualifiche, fa scendere il differenziale medio territoriale a -11,0 per cento”. Un quadro più dettagliato la offre la tabella sui dati Inps elaborati dall’Agenzia Umbria Ricerche.
“Tale divario – spiega la ricercatrice Tondini – non sembrerebbe derivare dalla specializzazione settoriale: lo svantaggio retributivo umbro si ritrova in ciascuno dei macrosettori considerati nell’analisi. È massimo in corrispondenza dei servizi avanzati e negli “altri servizi” e anche nell’industria in senso stretto, ove la regione presenta una concentrazione di lavoro (oltre che di reddito prodotto) più elevata che in Italia. L’Umbria, più operaia e più industriale rispetto alla media del Paese, sconta ancora una specializzazione all’interno delle filiere a scarso presidio di segmenti qualificati e una organizzazione del lavoro troppo poco propensa a investire sulle alte qualifiche; d’altra parte, anche il terziario locale è molto meno strutturato, organizzato e a minor contenuto di innovazione rispetto a quello su scala nazionale, a discapito della produttività.