Si è tenuta questa mattina (martedì 23 luglio) nella casa di reclusione di Maiano di Spoleto, la convalida dell’arresto di Erjon Behari, il 42enne accusato di omicidio per la morte del 28enne Stefano Bartoli ed in carcere da domenica, difeso dall’avvocatessa Maria Donatella Aiello. Ad uccidere il giovane spoletino, che conosceva bene il suo assassino, sarebbe stato un unico fendente al torace, con un coltello da cucina. Una morte avvenuta nell’ambito di una lite per pochi soldi fuori dall’abitazione del 42enne, in via II Giugno – almeno stando a quanto emerso subito dopo la tragedia – con l’albanese che ha detto di aver colpito Bartoli per spaventarlo e non per ucciderlo. Prima di rincasare nell’appartamento dove vive con la madre, dove lo hanno trovato i carabinieri nella serata di sabato.
Durante l’udienza di convalida dell’arresto, la legale del presunto omicida ha chiesto al giudice per il suo assistito una misura cautelare differente. In primis – viste le condizioni mentali del 42enne – il ricovero nel reparto psichiatrico di un ospedale idoneo, come ad esempio quello di Terni. In subordine l’avvocato Aiello ha chiesto i domiciliari, eventualmente anche in una struttura apposita in fase di individuazione. Richieste su cui il gip ha ora 5 giorni di tempo per pronunciarsi.
Stefano Bartoli, “biffo“, nonostante la giovane età, dopo un passato da cuoco in alcuni locali della città, conduceva da qualche tempo una vita ai margini, che gli era valsa di recente una denuncia per ricettazione (dopo che era stato trovato in possesso di merce rubata in esercizi commerciali della parte bassa della città) ed un’altra per invasione di terreni, venendo allontanato dal container nella zona di via del Tiro a Segno di cui aveva fatto temporaneamente la sua dimora. Conosceva bene Erjon Behari, disoccupato, pregiudicato ed in libertà vigilata.
C’è chi racconta che appena qualche giorno fa il 28enne avrebbe cercato di vendere in città un cellulare in possesso del 42enne. Ed è in questo tipo di contesto di marginalità sociale, fatto forse di qualche piccolo furto o di attività di ricettazione, che potrebbe essere maturata la lite tra i due, iniziata nel pomeriggio di sabato e proseguita poi intorno alle 21 della stessa sera fuori dall’abitazione di Behari. Dove quest’ultimo, forse ubriaco, si è presentato con un coltellaccio da cucina. Presumibilmente, dunque, con l’intento già di colpire Stefano Bartoli. Un particolare che gli potrebbe valere l’aggravante della premeditazione oltre alla già pesante accusa di omicidio volontario.
La città di Spoleto è rimasta attonita da questo episodio di sangue. In città si ricorda soltanto un altro omicidio nell’arco degli ultimi 20 anni, sempre per futili motivi. Era il novembre del 2007, quando in un appartamento di via dei Gesuiti venne ucciso il moldavo Denis Titov, da parte di un suo coinquilino, l’ucraino Roman Varyshko.
Ma a creare dolore e sconcerto in questo caso – in una Spoleto alle prese con vari episodi di microcriminalità, ma non con una situazione di allarme sociale – è la morte di un giovane che non si è riusciti a salvare dalla situazione di marginalità in cui era finito. Vari, a questo proposito, gli sfoghi pubblici sui social network da parte di chi è cresciuto insieme a Stefano Bartoli.
Come quello di una giovane spoletina: “È facile giudicare qualcuno che non si conosce fin dall’infanzia… con cui non si sono condivisi i giorni più belli e anche quelli meno belli… o con cui non ci si è mai confidati, scoprendo di condividere fragilità molto simili, nascoste dietro a una maschera da piccoli ribelli. Poi da grandi le strade si dividono, i gruppi si sciolgono, qualcuno prende strade completamente sbagliate… e io ho dovuto imparare ad accettarlo. Ma quello che è accaduto sabato sera è inaccettabile, a prescindere dalle motivazioni. Gli addii, specialmente così, sono inaccettabili. Continuerò a custodire ancor più gelosamente le nostre foto e i nostri video pazzi di quei tempi. Se prima erano preziosi, ora hanno un valore inestimabile“.
Lucidissima, nel raccontare i disagi di una generazione, è un’altra ragazza, anche lei con un post pubblico su Facebook: “Il problema non eri te bi, ne tantomeno chi ti ha accompagnato verso quella strada.. il problema bi sta alla base della nostra generazione, il problema sta nella mentalità delle persone che ti osservano mentre ti spezzi, che non sono piu in grado di amare, aiutare il prossimo, capire e rispettare.. il problema bi è che forse le nostre generazioni hanno avuto fin troppo, TUTTO tranne che l’amore, quello per la vita, per se stessi e per il prossimo! Ci è mancata la comprensione… la spensieratezza negli anni che dovevano essere i più belli, l’innocenza e la consapevolezza di ciò che si fa e dice… oramai viviamo in un mondo plasmato, dove l’incoscienza e la voglia di crescere e spaccare il mondo ha preso il sopravvento, dove la violenza verbale e fisica sta alla base di ogni rapporto, dove si deve essere per forza perfetti e mai diversi dagli altri se non si vuole essere esclusi. Dove droga e alcool, che una volta venivano utilizzati per svago, fanno parte della quotidianità per sopprimere sentimenti, sentirsi accettati e meno soli… per sentirsi in parte vivi. Errore madornale il nostro.
Il problema bi è che quando una persona deraglia alla base del cambiamento e dello sfogo ci sono sentimenti, fatti avvenuti e parole mai dette… il problema è che non siamo capaci di elaborare il dolore né tantomeno ci è stato insegnato a farlo nel modo corretto, non siamo capaci di chiedere aiuto anche quando dentro di noi sappiamo che ne abbiamo un gran bisogno.. mentre la gente che ci circonda nel notare il cambiamento o ci aiuta nel cadere ancor piu a fondo o si allontana al primo fallimento non capendo che per aiutare chi ha un problema del genere non servono catene ma polso rigido, un abbraccio ogni tanto, qualche consiglio anche se invano… ma soprattutto far riconoscere a chi si ha affianco quanto sia bella la vita sia nei momenti di felicità che nei momenti più difficili… quanto la vita sia breve ma potente, carica e molto spesso dura! Far notare la bellezza delle piccole cose e dei piccoli gesti quelli provenienti dal cuore! Cercare di far vedere il lato positivo anche se so in prima persona so cosa significhi non voler essere aiutato, darsi per spacciato e preferire la morte a volte… Se la gente capisse quanto fragile e sensibile può essere un’anima, se per un instante si fosse meno egoisti e ci si soffermasse ad osservare lo sguardo di chi si ha di fronte, o quanta sofferenza e amore si può nascondere dietro a un sorriso o uno sguardo perso, se si fosse meno presi dai propri interessi, più pazienti e leali.. più costanti nel dimostrare affetto.. se invece di dire “avrei dovuto, avrei voluto aiutarlo” quell’avrei venisse trasformato in “ok, ci devo riuscire ad aiutarti”, se la stessa rabbia forza e tigna che mettiamo nell’ottenere ciò che più si desidera la si mettesse anche nell’aiutare il prossimo probabilmente ora saresti ancora tra noi e come te molti altri… nel mio piccolo ti porto nel cuore“.
A ricordare Stefano anche la Cantina Barbanera, il locale dove aveva lavorato come cuoco fino al 2023: “R.i.P. Stefano vogliamo ricordarti per le cose buone fatte in cantina”.
(ultimo aggiornamento alle ore 12.18)