(Adnkronos) - “La situazione demografica italiana non è poi così isolata: siamo messi male, ma sono messi male anche gli altri. Qualche elemento ci accomuna. L’unico paese in Europa che non ha mai avuto un aumento di nascite, l’anno dopo rispetto a quello prima, e’ l’Italia. Ma l’andamento accomuna un po’ tutti. Il discorso demografico è un problema a livello europeo e, diciamo pure, dei paesi più sviluppati. Non è rilevante avere davanti a sé una prospettiva lunga o breve. In Europa quel che ci aspetta è inferiore rispetto a quello che abbiamo, con il rischio che la logica passi da quella dell’investimento a quella della manutenzione”. Sono queste le parole di Gian Carlo Blangiardo, professore emerito all’Università Bicocca di Milano ed ex presidente Istat, durante l’incontro “La sfida demografica europea: un futuro che va oltre i confini nazionali”, che si è svolto a Treviso durante StatisticAll, il festival della statistica e della demografia.
“Quelli che sono messi un po’ meglio forse sono l’Irlanda, la Svezia e i paesi dell’est. Dopodiché c’è il grande dilemma: favoriamo le nascite o puntiamo sull’immigrazione? Dobbiamo fare un salto culturale. Se prendiamo come confine d’ingresso nell’anzianità non i 65 anni, non un confine anagrafico, ma quel punto in cui ti resta da vivere il 20% della tua vita, le prospettive cambiano. Noi viviamo in un mondo in cui tutto cambia, e velocemente, quindi varrebbe la pena di adattare anche gli indici. Poi certo, un conto è fare il metalmeccanico, un conto è fare l’impiegato. Sarebbe sciocco non tenerne conto. Il futuro si costruisce in vari modi. Un bambino che nasce “regala” 85 anni in media, un immigrato in media 40. La natalità, secondo Eurostat, fra 10 anni non sarà sufficiente a compensare il consumo di anni per la vita. Il nato diventa operativo fra 20 anni, l’immigrato subito, ma il nato dura di più al lavoro, l’immigrato durerà circa 30 anni, da un lato quindi l’immigrazione parte subito, ma dall’altro lato si “esaurisce” prima. Bisogna quindi trovare il giusto mix, contemperare le cose. Intanto bisogna riconoscere la centralità della demografia, le persone sono al centro della società. Ma se è vero questo, gli interventi in campo demografico devono essere privilegiati", ha concluso Blangiardo.
(Adnkronos) – “La situazione demografica italiana non è poi così isolata: siamo messi male, ma sono messi male anche gli altri. Qualche elemento ci accomuna. L’unico paese in Europa che non ha mai avuto un aumento di nascite, l’anno dopo rispetto a quello prima, e’ l’Italia. Ma l’andamento accomuna un po’ tutti. Il discorso demografico è un problema a livello europeo e, diciamo pure, dei paesi più sviluppati. Non è rilevante avere davanti a sé una prospettiva lunga o breve. In Europa quel che ci aspetta è inferiore rispetto a quello che abbiamo, con il rischio che la logica passi da quella dell’investimento a quella della manutenzione”. Sono queste le parole di Gian Carlo Blangiardo, professore emerito all’Università Bicocca di Milano ed ex presidente Istat, durante l’incontro “La sfida demografica europea: un futuro che va oltre i confini nazionali”, che si è svolto a Treviso durante StatisticAll, il festival della statistica e della demografia.
“Quelli che sono messi un po’ meglio forse sono l’Irlanda, la Svezia e i paesi dell’est. Dopodiché c’è il grande dilemma: favoriamo le nascite o puntiamo sull’immigrazione? Dobbiamo fare un salto culturale. Se prendiamo come confine d’ingresso nell’anzianità non i 65 anni, non un confine anagrafico, ma quel punto in cui ti resta da vivere il 20% della tua vita, le prospettive cambiano. Noi viviamo in un mondo in cui tutto cambia, e velocemente, quindi varrebbe la pena di adattare anche gli indici. Poi certo, un conto è fare il metalmeccanico, un conto è fare l’impiegato. Sarebbe sciocco non tenerne conto. Il futuro si costruisce in vari modi. Un bambino che nasce “regala” 85 anni in media, un immigrato in media 40. La natalità, secondo Eurostat, fra 10 anni non sarà sufficiente a compensare il consumo di anni per la vita. Il nato diventa operativo fra 20 anni, l’immigrato subito, ma il nato dura di più al lavoro, l’immigrato durerà circa 30 anni, da un lato quindi l’immigrazione parte subito, ma dall’altro lato si “esaurisce” prima. Bisogna quindi trovare il giusto mix, contemperare le cose. Intanto bisogna riconoscere la centralità della demografia, le persone sono al centro della società. Ma se è vero questo, gli interventi in campo demografico devono essere privilegiati”, ha concluso Blangiardo.