Cultura & Spettacolo

Spoleto59, a San Simone per “A Hunger Artist” successo delle emozioni e del pensiero

Se fosse decisione nostra, non ci sarebbe dubbio. Lo spettacolo di prosa migliore visto al Festival dei Due Mondi in questo primo weekend è senza dubbio A Hunger Artist, programmato in quella cattedrale metafisica che è San Simone.
E questo non perchè tra gli altri lavori di prosa andati in scena tra il 25 ed il 26 giugno non ci siano state cose preziose e di livello. Semplicemente nel caso di A Hunger Artist si sono allineati una serie di fattori, decisivi per la riuscita dello spettacolo.
Innanzitutto il testo- Un lavoro di Franz Kafka, pubblicato subito dopo la sua morte, dedicato alla storia di un artista del digiuno, il Digiunatore per l’appunto. Un arte difficile da comprendere, forse nemmeno mai esistita, a metà tra il fenomeno da baraccone e l’autocannibalismo. Nel racconto breve kafkiano si ritrovano tutti gli archetipi cari allo scrittore, come la morte, l’isolamento, l’ascetismo, i fallimenti personali, la decadenza dei rapporti umani, la futilità e la povertà spirituale.
Si narra dunque la storia del Digiunatore che in una sorta di emulazione biblica compie una astensione dal cibo di 40 giorni al termine dei quali, sotto l’occhio attento di un impresario magnanimo quanto crudele, l’uomo o meglio ciò che ne rimane, viene festaggiato in un pubblico spettacolo dopo che i bambini e gli adulti lo hanno potuto osservare da vicino ed anche toccare.
Altro fattore determinante, la regia di Eimuntas Nekrosius e la Compagnia Meno Fortas Theatre- L’arrivo di Nekrosius a Spoleto era stato preceduto dalla sua fama di regista dalle lunghe messe in scena. Minimo 6-7 ore. Nel caso di A Hunger Artist però i tempi si sono limitati a meno di 2 ore. Il giusto spazio temporale per rappresentare un racconto breve. Nekrosius usa tutti i linguaggi possibili, per trasmettere al pubblico lo stato d’animo del Digiunatore. Trovate sceniche, dove con pochi oggetti si costruiscono macchinismi di grande efficienza nella loro povertà. Piccole conferenze tecniche sull’apparato digerente, o letti di fiori in cui riposare le membra ossute o anche solo sognare un’altra vita. Esercizi circensi che vorrebbero piegare il fisico alla legge dello spettacolo. Un dialogo mai interrotto con il dramma della consunzione fisica osservata come opera teatrale dagli spettatori di San Simone.
La Compagnia lituana, Meno Fortas diventa indispensabile per un simile spettacolo. Gli attori Vygandas Vadeiša, Vaidas Vilius e Genadij Virkovskij, con in testa la magnifica ed altera Viktorija Kuodytė nella parte del Digiunatore in versione femminile, sminuzzano i dialoghi e sembrano volere far parlare i fatti. Interrompono il Digiunatore nel suo racconto e tentano soluzioni impossibili. Il pubblico di Spoleto osserva e “mangia” in religioso silenzio. A tratti sorride ma con contegno, per l’azione dei tre strampalati aiutanti di campo dell’artista dello stomaco.
Il fattore Lituano- Non lo scopriamo oggi, ma in questo caso sopratutto, prendiamo atto che le lingue del ceppo baltico, ma anche quelle slave come il Russo, hanno un fascino irresistibile nel teatro di prosa. Si potrebbe ovviare anche all’indispensabilità dei sottotitoli, comunque presenti a San Simone, tanto è piacevole ascoltare e osservare. A teatro una volta si andava già preparati e quindi magari non c’era la necessità di approfondire il testo in termini lessicali o di contenuto per capire a fondo un opera. Oggi con lo schermo dei sottotitoli si rischia di concentrare l’attenzione al racconto e tralasciare tutto il resto. Tanto valeva starsene a casa a leggere il libro.
Per chi, dei presenti, non si è soffermato alla sola lettura ma ha tentato la sintesi delle emozioni, lo spettacolo è piaciuto in maniera incomparabile. Lo testimoniano i molti volti pensosi all’uscita e i pochi commenti scontati uditi tra il pubblico. Se un opera produce intimità nel pensiero allora si può anche dire che è stato un grande spettacolo.
Il fattore “finale”- San Simone in altre occasioni è stata la chiave di volta di alcune messe in scena dalle caratteristiche stravaganti. Nel caso di A Hunger Artist però il “non luogo” teatrale, con le sue crepe, con gli intonaci sfatti, la polvere e la puzza di secoli accatastati è la perfezione. La gabbia invisibile in cui rinchiudere il Digiunatore e tutto il contorno dei suoi spettatori dai pensieri indecifrabili. Come se il pubblico di Spoleto59 e il racconto di Franz Kafka fossero i protagonisti di una nuova storia da osservare. Peccato le sole 2 repliche a disposizione.
Poichè le cose sono sempre più semplici di come ce le immaginiamo, a chiusura della storia il Digiunatore regala al pubblico una pillola di verità, il colpo di scena finale.

Trovato ormai morente sotto un cumulo di paglia in una gabbia per animali del circo dove per ultimo aveva scelto di esibirsi, agli inservienti che lo soccorrevano e chiedevano con insistenza, “perchè…perchè hai fatta questa scelta di digiunare…”,  il Digiunatore risponde, “Perchè non trovavo nessun cibo che mi piacesse…”.

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Foto: Tuttoggi.info (Carlo Vantaggioli)