(Carlo Vantaggioli)- Di Luca Ronconi si sa molto, quasi tutto. Il suo lavoro è stato vivisezionato e studiato nei più minuziosi dettagli. Del regista si conosce il rigore stilistico come anche una certa idea di perfezionismo nei suoi lavori, evidente frutto di lunghi studi preparatori. Come è stato raccontato dallo stesso Ronconi in conferenza stampa di presentazione, per Danza Macabra di August Strindberg, ci è voluto più di un anno di studio per decidere come mettere in scena la piece.
Ma che Ronconi fosse uno spiritoso dissacratore di scritture di scena di origine nordica, questa ci mancava. Del resto, con la precisione che lo contraddistingue, aveva detto, “Mi piacerebbe che lo spettatore uscisse sorridendo facendosi la domanda sul perchè accade questo se ha appena visto un dramma”. Promessa mantenuta, con l’unica variante, che il pubblico non sorride ma piuttosto ride di gusto. Anzi a tratti sghignazza.
Il testo come si sa è decisamente ridotto rispetto all’originale, passando dalle 3-4 ore della scrittura di Strindberg all’ora e mezza della messa in scena spoletina. E la riduzione di Roberto Alonge rende meno claustrofobica la piece che assume invece una dimensione decisamente meno nordica e più fantastica. La storia si svolge in una isola impervia, sede di una fortezza militare dove il Capitano, mai promosso maggiore per demeriti caratteriali, vive una vita di clausura con la moglie Alice, scandita da ritmi cadenzati e ripetitivi, una danza per l’appunto, interrotta dall’arrivo del cugino Kurt, incaricato di mettere nell’isola una stazione di quarantena.
Gia così si fa fatica ad immaginare le risate del pubblico. Se non fosse che scene, costumi, luci, recitazione e persino il trucco, degli strepitosi Giorgio Ferrara-il Capitano, Adriana Asti-Alice e Giovanni Crippa-Kurt, hanno il vago sentore di una scena della ben nota Famiglia Addams.
Poiché, a grandi linee, la storia narra dell’esplosione conflittuale tra i coniugi a causa dell’arrivo di un terzo incomodo, Ronconi pensa bene di introdurre un “diabolico” elemento drammaturgico che scatena l’ilarità del pubblico, ovvero il vampirismo. Un orgia di morsi improvvisi al collo e alle mani, non si sa se per cibarsi, visto che per l’ospite Kurt in casa del Capitano non c’è nemmeno una crosta di pane, o piuttosto per traslare sentimenti e nefandezze di ognuno dei protagonisti da un corpo all’altro in una sorta di Danza di Morte (titolo originale del testo ndr.), ma con un occhio alla Famiglia Addams, per l’appunto.
Un’ isola è il luogo ideale dove far esplodere una simile conflittualità, tanto che quella in questione potrebbe tranquillamente essere assimilita alla terribile Isola del Dottor Moreau di H.G. Wells. In effetti un dottore c’è nell’isola ed è odiatissimo dal Capitano che non lo sopporta perchè snob e poco incline a prendere sul serio la sua malattia di cuore.
Una luce crepuscolare accompagna il succedersi degli avvenimenti, tra divani finto-Ikea-classico-anzichenò, un telegrafo inquietante che ticchetta di quando in quando il contatto vitale con la terra ferma, tentativi di omicidio a sciabolate e finti divorzi con denunce alle autorità.
Epici gli svenimenti del Capitano a causa della sua malattia cardiaca, che lo lasciano a bocca aperta in una parodia del goliardico “infarto secco”, mentre la moglie Alice spera sempre sia l’ultimo davvero, unico modo di liberarsi di 25 anni di matrimonio e di una prossima celebrazione delle Nozze d’Argento.
Maliziosa e decisamente sadomaso la seduzione e successiva trasformazione, da parte di Alice, del segaligno ed impalato cugino Kurt in una sorta di animale da cortile che dopo un fulmineo corteggiamento a base di morsi subisce anche l’onta di essere cavalcato dalla “amazzone” di casa. Scena che rimanda alla mente, in tutto e per tutto, alla piece di Goffredo Parise “La Moglie a Cavallo”, presentata al Festival dei 2Mondi del 2010.
Ma sarà proprio il cugino Kurt a rimettere tutto a posto, con la sua fuga dall’isola in un sussulto inaspettato di normalità, forse desideroso di croste di pane e stufo del sangue stantio della coppia infernale. Il Capitano ed Alice se ne fanno presto una ragione, sicuri che gli unici due punti fermi della storia, sono proprio loro, tanto che dopo aver suggellato una sorta di pax bellica con un impensabile bacio sulla guancia, si danno ai preparativi delle Nozze d’Argento. Sublime apparenza della normalità.
Giorgio Ferrara- il Capitano, in una forma strabiliante (non fosse altro che per le numerose cadute a terra previste nel copione), rivela anche una insospettabile vena comica interpretativa. Adriana Asti-Alice traduce bene la dualità mefistofelica del personaggio con cambi di voce ed intonazione efficaci ma sopratutto rende l’idea di chi veramente ha comandato in casa del Capitano. Giovanni Crippa-Kurt impareggiabile nel passaggio da stimato professionista a vampiro spregiudicato.
Pubblico entusiasta, scrosci di applausi e molti “bravo” all’indirizzo degli attori, in un Caio Melisso pieno zeppo, Loggione escluso chiuso come si sa, per cause di forza maggiore.
Manca solo l’applauso finale a Luca Ronconi, anche se a noi non ci toglie dalla testa nessuno che stavolta indossava i panni del diabolico Dott. Mabuse.
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