Non è stato uno sbaglio concettuale intitolare a grandi lettere il Concerto finale di Spoleto67, “Girl Crazy”, riprendendo in pieno il titolo della Suite di George Gershwin in programma per la serata.
Seppure il programma prevedeva altre tre esecuzioni lussuose, Albert Roussel–Le festin de l’araignée, op.17 Suite, Franz Joseph Haydn Sinfonia n. 104 in re maggiore London e Jean Sibelius Valse triste op. 44 n. 1, la chiusura di un Festival come quello di Spoleto è stata affidata ancora una volta ad una suite ad alto tasso di modernità compositiva ed esecutiva, dove l’eco del comporre in Jazz è sempre dietro l’angolo.
Ca va sans dire che se la Suite è Girl Crazy di George Gerswhin, era necessaria una vera “ragazza pazza” che potesse interpretarla appieno. E chi se non una “Fregoli” calzata e vestita come Barbara Hannigan poteva fare di meglio interpretando contemporaneamente il ruolo di Direttore d’Orchestra e voce soprano protagonista di pezzi ormai facilmente riconoscibili come But not for me, Embraceable You e I got Rhythm.
Da una decina di anni l’esecuzione di Girl Crazy è uno dei pezzi forti del repertorio di Barbara Hannigan che si diverte “da pazzi”- anche con un certo tasso di autostima- ad eseguirla nelle sale prestigiose di mezzo mondo, riscuotendo ogni volta un successo clamoroso. E’ oggettivamente e curiosamente attrattivo osservare un Direttore d’Orchestra dirigere nell’esecuzione della partitura strumentale un nutrito numero di professori d’orchestra, per poi girarsi verso il pubblico ed intonare con voce ferma e gradevole, They writing songs of love, but not for me– Scrivono canzoni d’amore, ma non per me, mentre- quasi ci si trovasse davanti ad uno specchio- la Hannigan prosegue a dirigere l’orchestra alle sue spalle.
Per qualcuno un pezzo di bravura da panem et circenses, ma per i più un modo originale di mostrare il proprio talento nel luogo più sacro della musica cosiddetta classica, che è da sempre Piazza Duomo a Spoleto nel Concerto Finale del Festival. E la cosa piace, eccome! Ben 2500 spettatori (siamo tornati quasi alla massima capienza della piazza dei bei tempi andati), applaudono e si compiacciono della spettacolare esecuzione. E piace anche da matti quando la Hannigan coinvolge i professori d’orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia (granitici e perfetti come sempre) nel brano altrettanto fascinoso di Embraceable you, facendoli cantare come coro nel ritornello del pezzo e mettendo mano all’orchestrazione di Bill Elliott che probabilmente non se ne avrebbe a male se fosse ancora vivo. Un trionfo, con commozione, ovviamente.
Il pezzo si presta magnificamente ad una simile operazione e non dimentichiamoci che la canzone dei fratelli Gershwin (Ira ha scritto i testi e George la composizione) è stata il cavallo di battaglia di mostri sacri come Ella Fitzgerald.
Inevitabile che una Girl Crazy come la Hannigan si confronti su questo lato del campo di gioco. E per Barabara è chiarissimo che non conta in quale campo di gioco ci si trova, ma ciò che è imprescindibile è la scelta del gioco in cui cimentarsi.
Nella serata di chiusura di Spoleto67 passano dunque in secondo piano, quasi scivolando, tutte le altre esecuzioni che precedono il pezzo forte di spettacolo. E come elencato sopra non parliamo di autori sconosciuti. Riflettendo pacatamente su come i gusti del pubblico si stiano modificando in funzione di elementi di valutazione “altri” rispetto alla conoscenza musicale di ciò che si ascolta, si deve prendere atto che stilare un programma equilibrato per una serata come quella di Spoleto è sempre più impresa titanica. Non è un caso che in precedenti edizioni targate Giorgio Ferrara, la scelta del programma quando riguardava Gershwin o il songbook americano degli anni d’oro dei musical, non prevedeva mescolamenti. Tranne a Spoleto59 (nel 2016) anno in cui il mitico Sir Antonio Pappano diresse come pezzo finale del concerto in Piazza, George Gershwin–Rhapsody in Blue. Tutta strumentale ovviamente e con al pianoforte solista un certo Stefano Bollani.
Il giornalista osservatore non dovrebbe esprimere preferenze o giudizi, ma siccome siamo sull’orlo della pensione ci prendiamo la libertà di dire le nostre impressioni. Ossia che la Suite di Roussel come anche il Valse triste di Sibelius, per non parlare della sinfonia London di Haydn, ci sono sembrate come una sorta di excusatio non petita, per ribadire al pubblico “sono una Girl Crazy, va bene, ma so anche dirigere cose di ben altro spessore”. Dal che se ne deduce che non tutta la musica, volutamente non diciamo classica, va sempre bene in Piazza Duomo. Ci sono serate e serate, ma soprattutto autori e composizioni che andrebbero scelti per raccontare una storia, una idea, uno stato d’animo. Poi ovviamente leggiamo nel programma di sala a firma dell’autorevole Luca Ciammarughi che la cifra di questo concerto è stato “il gusto dell’imprevedibile e dello stupore…il filo rosso del concerto finale di quest’anno in cui sono accostati compositori apparentemente lontani fra loro…” Siamo giornalisti di campagna, è vero, ma qualcosa l’avevamo intuita, in effetti!
Ma come sempre, I got rhythm, viva Barbara e avanti Pop.
Lo spettacolo piaciuto al pubblico non ha registrato però una presenza importante di autorità, a cominciare da quelle del Governo a dimostrazione delle criticità che mostra il Festival sul fronte del cerimoniale. Tra i presenti la presidente della Regione Donatella Tesei con l’assessora regionale Paola Agabiti e la presidente della Provincia di Perugia Stefania Proietti. In piazza c’era come sempre il Presidente emerito della Camera Fausto Bertinotti con la moglie. Presenti tutti i parlamentari locali (Laureti, Verini e Zaffini) e il Presidente della Commissione cultura della Camera dei Deputati, Federico Mollicone, anche se la loro sistemazione nella fila vip è apparsa più dettata dall’ideologia che dal ruolo ricoperto. Tra il pubblico, apparentemente non notato dagli addetti, c’era anche il Segretario generale della Farnesina, ambasciatore Riccardo Guariglia.
A fare gli onori di casa è stato il presidente della Fondazione Festival Andrea Sisti con la d.a. Monique Veaute. I due sono apparsi in sintonia più del solito, tanto che il primo cittadino non ha nascosto di voler ricandidare la direttrice artistica almeno per il triennio 2026-2028. Difficile comprendere la strategia, atteso che la decisione spetta al Ministero: un rischio calcolato, l’idea di “bruciare” l’italo-francese o una manovra per alzare la posta sul tavolo nei confronti del Mibact che sta pensando, nel modificare lo Statuto, di assegnare la presidenza della Fondazione ad un soggetto terzo? Un “giallo” che si dipanerà già nelle prossime settimane, sicuramente prima dell’arrivo dell’autunno.
Foto: Festival dei Due Mondi
Ha collaborato Carlo Ceraso