Cultura & Spettacolo

Spoleto, applausi a scena aperta per il Verdi noir di “Un ballo in maschera”

Alle indovine, conviene dare ascolto. Ne sa qualcosa il Conte Riccardo che avvertito per tempo dalla maga creola Ulrica della sua prossima dipartita per mano amica, si beffa della profezia e se ne va ad un ballo in maschera dove verrà accoltellato a morte dal marito di Amelia, Renato suo segretario personale, a causa della passione tra i due mai trasformata in tradimento conclamato o consumato che dir si voglia.
Giuseppe Verdi in verità, si trovò quasi costretto a scriverla questa sua opera, Un Ballo in Maschera (prima esecuzione 1859). Un lavoro che ancora oggi desta accese discussioni sul fatto che sia o meno il vero capolavoro del Maestro. Nata durante il periodo della monumentale Traviata, l’opera prende spunto dal dramma francese Gustave III, ou Le Bal masqué, libretto che Eugène Scribe scrisse per Daniel Auber nel 1833 e basata su un fatto di cronaca reale: l’assassinio di Gustavo III re di Svezia, ferito a morte durante un ballo in maschera a corte.
Verdi, da poco in rapporti con il librettista Antonio Somma, doveva presentare un opera al San Carlo di Napoli. Ma il lungo tira e molla sul soggetto con cui far nascere l’opera e le maglie della censura borbonica alla fine lo costrinsero a spostare il tutto al Teatro Apollo di Roma, riservando a Napoli una ripresa del Simon Boccanegra.
Travaglio dell’opera e travaglio del soggetto in scena. Molti affermano il vero melodramma della responsabilità e della legittimità (Gabriele D’Annunzio scriverà –Il più melodrammatico dei melodrammi– ). Quella responsabilità che il Conte Riccardo ha per il suo ruolo di guida della comunità, ma anche la legittimità (del tempo) di Renato che come marito beffato, sceglie la vendetta prima nei confronti della moglie e poi, ravvedendosi, contro colui che lo ha tradito veramente nell’amicizia e nella dedizione personale. Non meno importante il profilo di Amelia, moglie contesa, e indubbiamente molto amata da entrambi a cui tocca un destino finale quasi beffardo. Rimarrà da sola con un marito omicida e con l’amante idealizzato stecchito sul pavimento.
La scelta del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto, in chiusura della 70^ Stagione, è coraggiosa quanto educativa. Lo confermano due dei protagonisti della messa in scena spoletina, il direttore d’Orchestra Marco Angius e il regista (nonchè scenografo e costumista) Stefano Monti, nelle loro dettagliate note sul programma di sala del Lirico.
Una scelta che ha lasciato, come sempre allo Sperimentale, mano libera ad entrambi per trasformare l’opera in qualcosa che fosse in grado di trasmettere la forza dirompente della musica verdiana, mai come in questo caso ricca di sfumature, complessità e ritmo, e dalla storia piena di simbologia e solo apparentemente da drammone settecentesco.
Non è mistero, anche in questo caso, che quando un potente finiva a terra accoltellato, magari dopo una tormentata liaison amorosa a Verdi si aprivano le corononarie e lo spartito si riempiva di note. E Un Ballo in Maschera è un esempio straordinario di questa prolificità “cruda” del Maestro.
La scelta di Stefano Monti di asciugare la scena usando solo i fondali classicheggianti, molte sedie di velluto rosso e modulando i piani di recitazione con l’utilizzo dei praticabili, è propedeutica al ruolo dell’attore-cantante, lui stesso elemento scenografico. Una terza attribuzione che in alcuni momenti ha assunto un lirismo evidente, come nell’atto III° durante le arie di Renato e Amelia dove entrambi, muovendosi a turno al rallentatore, provvedevano da soli a modificare la scena togliendo e aggiungendo sedie, sorta di presenza silente o assenza dolente.
Se i costumi riconducono alla giusta collocazione temporale dell’Opera, tuttavia luci e movimenti arricchiscono di un nuovo sentimento l’intera storia, un pathos noir che la rende più credibile e meno scontata tenendo incollati gli spettatori alle poltrone del Teatro Nuovo.
Il Direttore Marco Angius è come sempre una pietra d’angolo del Lirico. Colto e ferreo nella sua interpretazione della partitura, ha il pregio enorme di dire sempre prima con grande onestà cosa farà e come della musica che va a dirigere. Una solidità intellettuale che consente di lavorare molto anche sui cantanti che, non va mai dimenticato, sono il vero fulcro del Lirico Sperimentale. Angius ha diretto una splendida opera verdiana, piena di sfumature e mai enfatizzata “alla Verdi”. Qualche tuono solo dove occorre. Impagabile l’Orchestra dell’O.T.Li.S. che si esalta sulle note della complessa partitura del Cigno di Busseto.
Nel cast andato in scena a Spoleto ieri, 24 settembre, hanno cantato Sebastian Ferrada-Riccardo, Paolo Ciavarelli-Renato, Samantha Sapienza-Amelia, Rachele Raggiotti-Ulrica, Giulia Mazzola-Oscar, Daniele Antonangeli- Silvano, Massimiliano Mandozzi-Samuel, Davide Procaccini-Tom, Antonio Trippetti-Un Giudice, Ivano Granci-Un servo.
Tranne l’uruguagio Ferrada, a suo agio e già veterano dei teatri italiani ed europei, (anche se a nostro sommesso parere ieri sera non in perfetta forma), tutti gli altri co-protagonisti sono il frutto del Concorso Europeo di Canto del Lirico Sperimentale.
Paolo Ciavarelli-Renato, conferma tutte le sue doti canore non disgiunte dalla brillante presenza scenica già viste in Rosicca e Morano, al pari di Giulia Mazzola-Oscar a tratti funambolica e con una voce squillante e mai in difficoltà. Piena di pathos nero, tra lo stregonesco e il rito voodoo Rachele Raggiotti-Ulrica, capace di trasformare a piacimento la sua voce da contralto, molto applaudita. Incisiva ed efficace Samantha Sapienza-Amelia alle prese con una partitura complessa, dove l’alternanza di note alte e pianissimi mette a dura prova le corde vocali. Appaludite con convinzione le arie Ecco l’orrido campo e Morrò ma prima in grazia.
Un fresco e piacevole Daniele Antonangeli-Silvano ( il marinaio ndr.) che fa da contraltare ai nerissimi e potentissimi (vocalmente parlando) bassi Massimiliano Mandozzi-Samuel e Davide Procaccini-Tom, congiuratori e ansiosi di uccidere Riccardo, costi quel che costi. Due voci notevoli quelle di Mandozzi e Procaccini di cui vorremmo sentire riparlare presto. Manca da molto a Spoleto un bel Boris Godunov, adattissimo e nero quanto basta per i due giovani “sperimentali”. Glielo auguriamo. Bravi nei loro piccoli camei, Granci-Un servo e Trippetti -Un giudice.

Impeccabile il Coro del Teatro Lirico Sperimentale, compatto ed efficace per tutte le sue presenze in partitura.
Da lunedi 26 settembre inizierà la tournèe regionale che porterà l’opera verdiana prima a Perugia e poi a Assisi, Citta di Castello, Todi ed infine Orvieto. La speranza è che questa bella messa in scena possa in futuro girare anche oltre il confine umbro. Un augurio che si possa bissare magari la fortunata e applauditissima tournée giapponese di luglio 2016 con La Bohéme.

Ultima replica a Spoleto, Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti, questo pomeriggio domenica 25 settembre alle 17,00.

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Foto: Tuttoggi.info (Carlo Vantaggioli)