Jacopo Brugalossi
Una famiglia unita sotto lo stesso tetto, ma in frantumi dal punto di vista delle relazione umane. E’ quella protagonista de “Il ritorno a casa” di Harold Pinter, diretta per Spoleto 56 al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti dal tedesco Peter Stein, uno dei grandissimi del teatro europeo del secondo ‘900. Fu lui stesso a definire “Il ritorno a casa” come il lavoro più cupo di Pinter, ma forse proprio per questo, dopo aver assistito alla prima londinese nel 1965, fu preso dal desiderio di metterlo in scena. E il Festival dei 2 Mondi gli ha concesso questa opportunità, grazie alla coproduzione con il Teatro Metastasio Stabile della Toscana.
La scenografia è essenziale. Al centro la poltrona di Max, il padre-padrone, che tratta i figli e il fratello come pezze da piedi, insultandoli, picchiandoli col bastone, vivendo nei ricordi di un passato vanaglorioso, solo ai suoi occhi ancora nitido. Accanto i suoi due figli. Lenny, un “dandy” dall’aspetto impeccabile ma dai modi balordi e violenti, e Joey, aspirante pugile, buono a nulla in verità. La loro routine vacua e deprimente, riempita solo dagli insulti e la accuse che si lanciano l’un latro, viene sconvolta dalla visita del figlio più grande di Max, Teddy, professore universitario in America, tornato inaspettatamente a Londra insieme alla moglie Ruth. Accolta come una “puttana sifilitica” da Max e costretta a soddisfare gli appetiti sessuali del “branco”, lei si vendicherà presto, costringendo tutti a mettersi ai suoi piedi. Si prostituirà, ma alle sue condizioni: un appartamento con tre stanze, un guardaroba nuovo, e poi chissà cos’altro.
L’ultima scena è la perfetta sintesi dell’inversione della gerarchia familiare. Ruth seduta nella poltrona di Max, immobile, sguardo fisso nel vuoto, mentre accudisce Joey – il pugile burbero che forse, grazie a lei, ha trovato l’amore – come fosse un cagnolino. Lenny, insensibile come sempre, che armeggia con la calcolatrice, cercando di capire quanto peseranno sul bilancio familiare le richieste economiche della prostituta-padrona. Max, forse l’unico ad aver capito come andranno le cose, che in preda alla disperazione urla “lei ci fregherà tutti”, prima di abbandonarsi al suo capezzale anelando un bacio.
Dalla coltre di nebbia formata dai sigari alle lunghe ed esasperanti pause nei dialoghi, passando per i movimenti lenti e sinuosi degli attori, specialmente della protagonista femminile, tutto contribuisce a conferire un atmosfera cupa e decadente alla rappresentazione, dominata da una violenza latente che stenta ad esplodere perchè soffocata da un’ironia amara e crudele.
Nonostante le tre ore di spettacolo, il pubblico (non quello delle grandi occasioni, comprensibile visto che Tuttoggi.info non ha avuto la possibilità di assistere alla prima) non si è annoiato affatto, attendendo con trepidazione l’evoluzione di un annunciato disastro familiare. Straordinaria l’interpretazione di Paolo Graziosi (Max), Alessandro Averone (Lenny), Elia Schilton (Sam), Rosario Lisma (Joey), Andrea Nicolini (Ted) e Arianna Scommegna (Ruth), cui il pubblico ha tributato un lungo e caldo applauso.
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