Debutta a Spoleto, nel segno di una interessata e curiosa attesa, The Rape of Lucretia di Benjamin Britten, su un libretto intrigante di Ronald Duncan e la regia di Giorgina Pi.
Si inaugura ufficialmente così la 75^ Stagione del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto, dopo il successo del prologo con il Giovanni Sebastiano di Gino Negri.
Se la scelta di un opera come questa, definita dal suo autore, secondo una nuova formulazione orchestrale, “da Camera”, introduce all’attenzione del pubblico il tema molto sentito della violenza sulle donne, per contro un testo con interessanti spunti di riflessione, apre all’ascolto di un lavoro che scompone e disarticola, anche tendenziosamente, la narrazione storica sulle vicende dell’Impero Romano, utilizzando come chiave interpretativa lo stupro di Lucretia, moglie di Collatinus, ad opera di Tarquinius.
Tanto più se a descriverla in musica è un britannico senza tentennamenti, e per giunta nobile, come Benjamin Britten. E conosciamo bene le vicende della lunga lotta tra i Britanni e le Legioni Romane, dove la nota di sottofondo era quella di due paganesimi contrapposti.
C’è curiosamente uno strano filo rosso che unisce le vicende precristiane di Tarquinius (protagonista con Lucretia dell’opera di Britten), generale romano di origini etrusche (Nubiano, si legge nel libretto d’opera, come fosse un marchio), figlio dell’imperatore Tarquinio il Superbo e quelle post-cristiane dell’imperatore “ragazzo” Eliogabalo, siriano ed erede di una lunga dinastie di Giulie, morto ammazzato a 18 anni per una congiura di palazzo in una latrina di Roma per mano di un manipolo di guardie pretoriane.
Entrambi scontano la diffidenza e l’odio dei romani di origine verso chi proviene da terre lontane e tanto più, orientali. Tutti fieramente pagani e sicuramente Eliogabalo (sacerdote del Sol Invictus), molto più di Tarquinio.
Entrambi guidati dall’ossessione per l’intreccio tra spiritualità e sessualità, seppure per motivi diversi. Più tribale e predatorio quello di Tarquinius e più vicino alla ragion di stato quello di Eliogabalo.
Tutti e due oggetto di odio e avversità per il “diverso” di origine che a tratti si mostra anche per paradosso in The Rape of Lucretia quando il testo di Duncan invoca il Cristo come soluzione:
” Per noi Egli morì, perché noi potessimo vivere,
ed Egli perdonare
Le ferite che causiamo e le cicatrici che siamo.
Nella Sua Passione risiede la nostra speranza.
Gesù Cristo Salvatore. Egli è tutto! Egli è tutto! “
Molto più che una spiritualità, sembrerebbe, nel contesto della violenza, una invocazione al cambio politico imperniato in un nuovo credo religioso. Una teocrazia che per noi osservatori contemporanei ha tristi e pericolosi paralleli con quanto accade in molti luoghi del mondo proprio ora.
Ma detto questo e lontani anni luce dal dare una sorta di salvacondotto psicologico a chi stupra una donna. The Rape of Lucretia è una preziosa elaborazione del sacrificio umano contro il potere.
Ne parla diffusamente nelle sue note di regia una ispirata Giorgina Pi, che più che regista è stata una specie di demiurgo in questa messa in scena spoletina (suoi la regia, l’allestimento scenico e i costumi).
Il suo segno è evidente in ogni piccolo angolo della rappresentazione, dove il trionfo di una ricerca introspettiva sta proprio in quella serie di magnifici contributi video filmati dalla stessa regista e proiettati sul fondo della scena, con l’intento di mostrare il dettaglio di un tormento, di una situazione, di espressioni e di ciò che sparisce nell’osservazione quotidiana di un fatto. Il tutto con un gusto retrò, alla Fritz Lang che rende il contrasto con la drammatica storia di una Lucretia, antica romana, un piccolo dettaglio spazio-temporale.
Non importa infatti se tutta la vicenda si svolge in un triste e contemporaneo Bar Roma (immaginiamo le smorfie di orrore di Giorgio Ferrara ex-direttore artistico del Festival dei Due Mondi e che in questo era un regista più ortodosso di un Pope russo).
Ma si sa la scenografia al Lirico Sperimentale è sempre un evento collaterale, per cause che non staremo a ricordare. Quello che conta è che il contesto sia il giusto contenitore in cui il contenuto prezioso rimanga sempre la voce dei nuovi cantanti vincitori del Concorso Comunità Europea.
E questo è esattamente ciò che è andato in scena ieri sera, 3 settembre per la prima di questa opera, fortemente voluta dal Prof. Enrico Girardi, nuovo condirettore artistico del Lirico.
Giorgina Pi non teme di scoprire il verminaio delle miserie umane, come quello di uno stupratore frustrato e ubriacone, un marito che perdona per la ragion di stato e un gruppo di amici che seminano zizzania. E non indulge in favore della musica di Britten anzi la prende a pretesto per assestare un doloroso pugno in bocca a chi pensa di essere solo spettatore.
Che fosse un anno florido per il Lirico in termini di voci lo si era capito già dal Giovanni Sebastiano. Ma in The Rape of Lucretia la conferma si fa evidente. Si canta in inglese, tanto per cominciare, e arie e recitativi composti da Britten sono impervi e a volte traditori.
Ma il cast delle voci è assolutamente all’altezza:
Chiara Boccabella (soprano)-Coro femminile, Elena Salvatori (soprano)-Lucia, Nicola Di Filippo (tenore)-Coro maschile, Federico Vita (tenore)-Coro maschile, Cecilia Bernini (mezzosoprano)-Bianca, Daniela Nineva (mezzosoprano)-Bianca, Candida Guida (contralto)-Lucretia, Luca Bruno (baritono)-Tarquinius, Matteo Lorenzo Pietrapiana (basso-baritono)-Junius e Giacomo Pieracci (basso)-Collatinus.
A tutti vanno i complimenti per la passione e la partecipazione scenica che annulla ogni eventuale imperfezione.
Encomiabile l‘Ensemble strumentale del Teatro Lirico Sperimentale diretto dal bravissimo Salvatore Percacciolo che si destreggia con sapienza tra la struttura tonale (e a tratti anche atonale) della musica di Britten dal profondo climax drammatico.
Una menzione “risarcitoria” e di simpatia la facciamo per la sempre brava pianista Mariachiara Grilli che per una scelta registica è stata posizionata in scena di spalle al pubblico, per tutta la durata dell’opera, ricordando i derelitti pianisti su cui sparavano tutti, nei film Western.
Lunghi applausi suggellano il valore di una messa in scena che non tradisce lo spirito “sperimentale” dell’Ente Lirico.
Per la cronaca tra il pubblico della prima erano presenti il Direttore Artistico del Festival dei Due Mondi, Monique Veaute, con Paola Macchi, direttore amministrativo e il Senatore Franco Zaffini.
Foto: Tuttoggi.info (C.V.)