Dieci anni sono tanti, forse troppi per la memoria di due accusati di omicidio, occultamento di cadavere e concorso. Due giorni interi di udienza sono serviti alle parti e alla Corte d’Assise per interrogare i due imputati. Interrogatori faticosi pieni di “non ricordo” e di riformulazioni rispetto alle dichiarazioni rilasciate, in questi lunghi anni di indagini, passati a dichiararsi innocenti.
Ma il calvario è anche quello di una famiglia senza una tomba della propria figlia su cui andare a pregare. È il 16 novembre 2006 quando Sonia Marra, una ragazza pugliese di nemmeno 25 anni, studentessa universitaria a Perugia, scompare nel nulla. La famiglia si allarma fin da subito, perché Sonia è una brava ragazza che non ha motivi per allontanarsi. L’allarme scatta quindi immediatamente, e appare chiaro fin dal principio che alla ragazza sia successo qualcosa di grave. Il giorno seguente i vigili del fuoco fanno irruzione nel suo appartamento nella città umbra, dove qualcuno ha lasciato il gas aperto. La casa è vuota, e le prime testimonianze raccolte dai vicini fanno subito pensare al peggio: la sera della scomparsa, infatti, un uomo è stato visto entrare in casa della ragazza con le chiavi, con fare furtivo.
Secondo gli inquirenti e la procura di Perugia Sonia è morta, è stata uccisa e il suo corpo nascosto chissà dove. A 10 anni da quella scomparsa siamo ancora nel processo di primo grado per omicidio volontario e occultamento di cadavere, gli imputati sono due: Umberto Bindella, ex guardia forestale e il finanziere Dario Galluccio, accusato di concorso in occultamento del corpo.
Secondo le tesi dell’accusa, sostenuta dal sostituto procuratore Giuseppe Petrazzini, Sonia Marra aveva un legame con Bindella, conosciuto alla scuola di teologia di Montemorcino, dove la studentessa collaborava come volontaria in segreteria. Dalle indagini è emerso che la giovane aveva acquistato un test di gravidanza e prenotato una visita ginecologica, mai effettuata. Si ipotizza una lite degenerata nata proprio per una gestazione indesiderata. In più Bindella somiglierebbe all’uomo visto a casa di Sonia il giorno della scomparsa. A confermare questo impianto anche tabulati telefonici, che evidenziano telefonate e messaggi tra Sonia e Bindella.
Il test di gravidanza. Sono molti gli aspetti di questa vicenda ancora da chiarire, ma le domande del giudice a latere Narducci, oggi in aula hanno cercato di dargli risposte. Perchè Bindella ha sempre dichiarato che Sonia gli disse di essere vergine e anche che poi fu lui ad aiutarla nell’acquisto dei test di gravidanza. “Se una donna vergine mi dicesse che sospetta di essere rimasta incinta io le risponderei che è folle, lei concorda? – chiede il giudice a Bindella – Perché lei non disse a Sonia che era folle e assecondò la richiesta andandole a comprare un test di gravidanza in due distinte occasioni?”. “Forse perchè ho assecondato la follia – risponde Bindella – non mi posi la domanda”.
Ed è sempre Narducci a chiedere all’imputato Galluccio chiarimenti sulle telefonate che i due si scambiarono dopo la scomparsa di Sonia, del resto tra i due ragazzi non vi erano stati che 4 o 5 incontri poi ad un certo punto Bindella avvisa il finanziere che i carabinieri lo avrebbero chiamato e che lui avrebbe dovuto confermare il loro incontro nel giorno della scomparsa di Sonia. “Chiese a Bindella – domanda il giudice – per quale ragione avrebbero dovuto chiamare a riferire lei in merito alla scomparsa di Sonia?” “Non lo ricordo, non me lo ricordo proprio – risponde Galluccio – lui si limitò solo a dirmi di confermare l’incontro tra di noi”.
Il colpo di scena. Ma l’interrogatorio come detto ha l’atmosfera di un pantano da cui non si riesce ad emergere, perchè sui vuoti di memoria continui degli imputati affondano le domande dell’accusa e poi arriva l’inaspettato: il teste Galluccio che afferma di aver “arricchito” le informazioni rese nei primi interrogatori per “eccesso di zelo” (sostiene la difesa, avvocato Francesco Falcinelli), “Forse lo feci in buona fede per cercare di dare informazioni in più”, si giustifica Galluccio, “mi scusi – tuona il pm Giuseppe Petrazzini – ma lei è laureato in giurisprudenza ed è in un corpo di polizia, come può aver pensato che dire delle cose inventate avrebbe aiutato le indagini?”.
I familiari. “Aspettiamo la sentenza e vogliamo la verità e il corpo di Sonia – ha ribadito la famiglia, parte civile assistita dall’avvocato Alessandro Vesi – Questa storia non finirà fino a quando non avremo un corpo, un luogo in cui andare a trovare Sonia, nella sua terra, a casa. Si deve arrivare a questo, è giusto che sia così”.