Nella mattinata del 7 giugno scorso, a Città di Castello, un 23enne di origine egiziana, indagato per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (caporalato), falso per induzione in errore di pubblico ufficiale e numerose violazioni inerenti alla prevenzione infortuni sui luoghi di lavoro, è stato posto agli arresti domiciliari. Oltre a questo è stata sequestrata anche un’attività di autolavaggio delle 4 di cui il giovane è risultato essere titolare.
Le indagini, avviate da circa un anno, erano finalizzate a contrastare il fenomeno dello sfruttamento della manodopera, nello specifico settore degli autolavaggi “low cost” e del fenomeno del “caporalato”, e sono state avviate proprio con un’ispezione all’autolavaggio di Città di Castello, pianificata con l’Ispettorato del Lavoro di Perugia, congiuntamente ai carabinieri della Stazione Forestale tifernate.
I militari, in tale attività, hanno appurato lo sfruttamento sistematico e reiterato di 4 lavoratori, tutti di giovane età e di origine egiziana, di cui uno “in nero”, con una paga di 30 euro al giorno, a fronte di 12 ore di lavoro (a parte una piccola pausa pranzo), lavorando anche la domenica per mezza giornata. Nessun riposo settimanale né ferie annuali, niente contratto di lavoro, buste paga e indennità di infortunio.
Gli stessi lavoratori, inoltre, dovevano corrispondere al titolare dell’autolavaggio un canone mensile di 150 euro, per poter usufruire di un posto letto fornito dall’azienda (agli ospiti era richiesto anche un contributo per le utenze domestiche). Dalle indagini è poi emerso che il certificato di conformità dell’impianto elettrico dei locali adibiti a luogo di lavoro era falso, in quanto disconosciuto dal tecnico che risultava averlo rilasciato. Falsi sono risultati anche due certificati medici di idoneità fisica di altrettanti lavoratori e la dichiarazione inoltrata al Comune per l’inizio attività (SCIA). Non erano mai garantite nemmeno le condizioni minime di salubrità e sicurezza dei luoghi di lavoro.
Per tutte queste violazioni sono state contestate oltre 6000 euro di ammende, oltre 8000 euro di violazioni amministrative e la sospensione dell’attività imprenditoriale per “lavoro nero”. I lavoratori, in grave stato di indigenza, si trovavano costretti ad accettare le condizioni di lavoro sfavorevoli, in quanto da soli in Italia e con la necessità di inviare denaro ai familiari nel paese di origine. Vi era inoltre la necessità, per gli stessi, di dimostrare un rapporto di lavoro in essere per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno. E stato accertato, infine, un grave fatto di violenza nei confronti di uno dei lavoratori, malmenato dal datore di lavoro attualmente arrestato.