Oggi è una giornata in cui si riescono a imparare un sacco di cose; crescita personale, attitudine al sacrificio, valori morali ormai desueti e tanta voglia di un domani degno di essere prima atteso, e poi vissuto.
Sono queste le suggestioni che ci portiamo a casa dalla chiacchierata con Ilaria Santoni, coach dell’Atletico Foligno che milita nel campionato di Serie A2 femminile di calcio a 5, Girone C, in un’annata che sta diventando di domenica in domenica sempre più adrenalinica rispetto ai presupposti di inizio stagione.
Dopo il pareggio nel recupero del 16 febbraio contro la Nox Molfetta, infatti, c’è un secondo posto in classifica da difendere (in condivisione con il Vis Fondi), e crescenti aspettative; ma le ragazze dell’Atletico “hanno intenzione di godersi il viaggio e non fare troppi programmi”.
Del resto la poetessa Anne Carson scriveva che l’unica regola del viaggio è: non tornare come sei partito. Torna diverso.
Ci ha pensato mio padre a farmi scattare la prima vera scintilla. In estate, nel giardino della casa in montagna, mi piantava dei lunghi bastoncini e mi chiedeva di driblarli.
Quel gioco, apparentemente stupido, giorno dopo giorno è diventato il mio mantra.
È stato probabilmente lui l’artefice di tutto.
All’età di 10 anni iniziai con i pulcini del Foligno Calcio; all’epoca non esisteva una vera e propria scuola di calcio femminile, e se volevi giocare a pallone eri obbligata a praticarlo insieme ai maschietti.
Ricordo comunque quel periodo come una delle esperienze più belle ed entusiasmanti di tutta la mia vita: mi hanno sempre fatto sentire il loro valore aggiunto, non la comune pecora nera del gruppo.
All’età di 12 anni, per questioni anagrafiche passai successivamente alla Virtus Foligno, all’epoca l’unica squadra femminile della mia città.
Rimasi per due anni, prima del salto di categoria con la Grifo Perugia, squadra che mi permise di affacciarmi ad una categoria nazionale e di fare tanta, ma tanta esperienza.
Chi mi conosce sa quanto adori lavorare in silenzio, dietro le quinte, senza affacciarmi troppo al balcone.
Se ti rispondessi che in tutto questo percorso ci sia stata della programmazione, mentirei.
Mi sono fatta sempre muovere dalle emozioni, e, probabilmente la cosa che mi riesce meglio, oltre all’improvvisazione, è trasmettere agli altri i valori nei quali credo; soprattutto negli ultimi anni mi sono resa conto che hanno più importanza delle parole stesse.
Quando mi chiedono cosa mi spinga a fare tutti questi sacrifici accenno un sorriso e rispondo decisa: la passione!
Lo so, è pericolosa, perché non sai se questa finirà per ucciderti, per deluderti o per renderti la persona più felice al mondo; io non so vivere diversamente.
Non mi accontento delle sicurezze. Voglio svegliarmi tutte le mattine e pensare: “bene… oggi cosa accadrà che mi stravolgerà la vita?”
Guardiamo la classifica con orgoglio e con enorme entusiasmo ma nessuno di noi, ad oggi, pensa alla luna. La si guarda come si guarda una cosa bella e inaspettata ma sempre con i piedi ancorati bene a terra.
D’altronde, il nostro obiettivo era la salvezza, e oggi non è poi così cambiato.
Vogliamo far bene e migliorare il nostro gioco, terminare il campionato, guardarci negli occhi e dire: “si può sempre far meglio ma abbiamo dimostrato di essere una squadra.”
In fondo i conti si fanno alla fine, e i pronostici e le chiacchiere da bar lasciano sempre il tempo che trovano.
Negli ultimi anni si sono fatti dei grandi passi in avanti, ma purtroppo in Italia è ancora trattato come uno sport di serie b.
All’estero la situazione è ben diversa, l’attenzione che viene data è elevatissima: televisioni, giornali, internet e la presenza del pubblico garantiscono una comunicazione incredibile; è anche per questo motivo che il numero delle tesserate è da capogiro.
Il nostro invece è uno sviluppo lento, dato purtroppo da una serie di fattori che contribuiscono alla mancanza di un giro d’affari sufficiente a supportare il movimento. Le atlete italiane per poter giocare devono avere una volontà di ferro, e nella maggior parte dei casi devono farlo parallelamente a un altro lavoro: come del resto il 99% degli addetti ai lavori.
Nel dubbio, dormo.
No. Battute a parte…
Prima di tutto li ringrazierei per il tempo speso; in secondo luogo li inviterei a berci un caffè (di due minuti), curiosa principalmente di capire cosa ci sia dietro a tutta questa disperazione.