Mentre i Comuni umbri in “zona rossa” riaprono o tengono chiuse le scuole d’infanzia e gli asili nido in ordine sparso, grazie ad apposite ordinanze comunali, la Regione Umbria annuncia ricorso al Consiglio di Stato contro la decisione del Tar. Ed intanto centinaia di genitori firmano una lettera – appello ai vertici regionali, chiedendo test direttamente a scuola.
La Regione Umbria ha infatti proposto opposizione al Tar dell’Umbria nonché ricorso al Consiglio di Stato avverso il provvedimento di sospensiva del Tar regionale del 13/2/21 in merito all’ordinanza regionale numero 14 del 6 febbraio, con specifico riferimento alla parte in cui la Regione Umbria sospende “tutti i servizi socio educativi per la prima infanzia fino a 36 mesi pubblici e privati e i servizi educativi delle scuole dell’infanzia, statali e paritarie”.
La decisione del Tar, comunque, resta efficace fino all’esito dell’opposizione e/o del ricorso, salvo provvedimenti ordinativi dei Sindaci nei rispettivi Comuni.
Dalla Regione, però, arriva anche una stoccata all’Anci per la mancanza di inviti alla riunione in merito all’ordinanza bocciata dal Tar su scuole d’infanzia e nidi. “All’incontro, a cui erano presenti i Sindaci interessati dal provvedimento, indetto da Anci, – evidenzia Palazzo Donini – non hanno partecipato né la Presidente della Regione, né esponenti della Giunta, né il Direttore della Sanità regionale Claudio Dario perché non invitati. La Regione e la Sanità regionale restano come sempre a disposizione di tutti i Sindaci dell’Umbria per qualsiasi esigenza e supporto di carattere sanitario e nell’ambito delle proprie competenze”.
Nessun ricorso per il momento, invece, come preannunciato ieri, contro le ordinanze dei Comuni che stabiliscono di nuovo la chiusura di scuole d’infanzia e asili da parte del comitato “A scuola”. Quello cioè che ha promosso il ricorso al Tar dell’Umbria. Ma il raggruppamento di genitori lunedì mattina punta il dito sui dati alla base delle ordinanze comunali sui contagi tra i più piccoli.
“Ci chiediamo come mai – evidenziano dal comitato “A scuola” – i dati sui positivi per fasce di età e relativi alla popolazione scolastica a livello comunale non siano presumibilmente mai stati pubblicati e condivisi dalle istituzioni se non “saltare fuori dal cilindro” solo ieri per poter essere inseriti nelle Ordinanze emesse o in fase di emissione. Ci chiediamo a questo punto se i Comuni siano costantemente informati su questo a tal punto da poter prendere decisioni tempestive e soprattutto giustificate al fine di limitare l’aggravamento dello stato pandemico in Umbria“.
E ancora: “Il Comitato è fermamente convinto che decisioni pubbliche così importanti come quelle sulla chiusura delle scuole, debbano essere prese in ogni caso sulla base di dati certi, condivisi e trasparenti in modo da rendere consapevoli e partecipi i cittadini sulla reale situazione epidemiologica”.
Tra le varie lamentele del comitato, si fa notare che “esiste una “anomalia umbra” nella gestione della scuola durante la pandemia. L’Umbria è stata graziata dalla prima ondata, e questo avrebbe permesso di accumulare un vantaggio rispetto agli altri. A partire dalla seconda ondata però, abbiamo tenuto chiuse le scuole medie più delle altre regioni, abbiamo chiuso le scuole superiori molto prima delle altre regioni e praticamente non le abbiamo più riaperte, tanto che i ragazzi delle superiori nella provincia di Perugia hanno fatto al massimo 38 giorni in presenza da marzo 2019. Considerando che siamo stati i primi a chiudere le scuole, anche quando non previsto dalla normativa nazionale in base ai colori, ormai dovremmo avere meno contagi che nel resto d’Italia. E invece, nonostante tutto ciò, nonostante i sacrifici dei ragazzi e delle loro famiglie, abbiamo i dati peggiori di tutte le altre regioni. Evidentemente qualcosa non ha funzionato fuori dalle scuole nella gestione della pandemia, e forse è un qualcosa che non ha nulla a che vedere con le scuole, né con la popolazione scolastica… Anche nelle altre regioni ci sono gli studenti, ci sono le fermate dei pullman, ci sono gli adolescenti, ma mentre l’Umbria pensava e pensa a come chiudere le scuole, le altre lavorano e lavoravano per tenerle aperte in sicurezza”.
“Con la nostra azione legale, che proseguirà nei tempi e nei modi che riterremmo più opportuni, – aggiungono dal comitato “A scuola” – vogliamo che siano rispettati il diritto dei bambini e dei ragazzi ad avere una scuola in presenza per quanto previsto dal Dpcm per la zona rossa o arancione“.
“Molte regioni – ricordano – sono oggi nella situazione in cui l’Umbria era un mese fa, con la differenza che gli altri oggi tengono aperto, mentre noi avevamo le scuole chiuse anche un mese fa e la situazione non è certo migliorata, anzi. Attraverso un lavoro di sinergia tra istituzioni e non di rimpallo di responsabilità è possibile uscire da questo grave impasse, ma occorre assumersi le proprie responsabilità sulla base di dati adeguati certi e condivisi. Ancora una volta, lanciamo un appello: non ci costringete a ricorrere ancora alla giustizia: lavorate per il bene di tutti, anche degli studenti”.
Intanto arriva un’altra iniziativa da parte di genitori di studenti umbri. E’ una petizione che ha raccolto in pochi giorni mille adesioni ed è stata inviata oggi alla Regione Umbria. Si tratta, specificano i promotori, di un appello nato dal basso, “senza nessuna appartenenza a gruppi o organizzazioni“.
“A seguito dell’ordinanza regionale che ha chiuso tutte le scuole della Provincia di Perugia e di alcuni Comuni del ternano, – viene evidenziato – l’appello propone invece di fare delle scuole aperte un presidio per la prevenzione e per il controllo della diffusione del contagio. La richiesta è infatti quella di attivare tempestivamente una campagna di screening a tappeto da effettuarsi direttamente presso gli istituti scolastici tramite la somministrazione dei tamponi rapidi antigenici a tutti i bambini, gli studenti e al personale docente e non, screening da ripetere regolarmente, “contribuendo così al contenimento della pandemia e permettendo al contempo un ritorno di bambini e ragazzi ad una vita più adeguata ai loro bisogni educativi, psicologici e sociali”. Si tratterebbe quindi di una forte implementazione della campagna di screening già in atto nelle farmacie”.
“L’appello vuole inoltre sottolineare che la sospensione delle scuole e il conseguente isolamento crea danni non solo formativi, ma mette a dura prova il benessere psicologico di bambini e ragazzi, privandoli di fatto dell’unico luogo in cui si realizza una socialità “controllata”. Inoltre, la chiusura delle scuole costringe le famiglie ad adottare le soluzioni organizzative più disparate, tra cui quella di ricorrere a nonni o babysitter, situazioni private dove non è possibile alcun controllo e dove non è previsto nessun protocollo, come invece avviene nelle scuole.
Altre due le questioni poste dall’appello: la disparità degli studenti umbri rispetto a quelli delle altre regioni in zona rossa, dove le scuole sono aperte fino alla prima media e le disparità insite nella stessa metodologia della didattica a distanza. La DAD infatti, sostengono i firmatari dell’appello, penalizza inevitabilmente gli studenti che non hanno gli strumenti adeguati per usufruirne (strumenti tecnologici, ma anche emotivi e sociali) inasprendo le disparità, in quanto solo la scuola in presenza può garantire inclusività e pari opportunità per tutti. Da qui la richiesta alle istituzioni affinché “si impegnino ad adottare tempestivamente le misure qui proposte o tutte le altre misure che riterranno necessarie al fine di garantire lo svolgimento in sicurezza e con continuità di questo imprescindibile servizio pubblico” “.