La Corte di Appello di Perugia ha respinto il ricorso presentato dal legale rappresentante della Scs, la cooperativa che un tempo controllava la Popolare di piazza Pianciani e dichiarata fallita dal Tribunale di Spoleto dalla fine del 2017. Il collegio di secondo grado ha riconosciuto in pieno non solo le ragioni dei curatori fallimentari ma anche la correttezza dell’operato della Procura spoletina che aveva proposto la revoca del concordato e, conseguentemente, del giudice che l’aveva accolto dichiarando il fallimento della società che poteva vantare più di 19mila soci. Una doccia gelata per i ricorrenti che nelle scorse settimane, per bocca dell’ormai ex vice presidente Carlo Ugolini, si erano detti fiduciosi in vista della sentenza.
Il collegio giudicante era composto da Salvatore Ligori (Presidente), Paolo Vadala (Consigliere) e Francesca Altrui (Consigliere relatore); a sostenere le ragioni della procura, il Sostituto Procuratore Giuliano Mignini.
Il ricorso contro il fallimento era stato presentato dagli avvocati del foro di Perugia Rodolfo e Pier Francesco Valdina insieme all’avvocato Salvatore Taverna; ad adiuvandum si era costituito anche l’ultimo board difeso dall’avvocato Gerardo Spaltro di Roma (il presidente Giorgio Heller, il vice Carlo ugolini e i membri Costanza Carocci, Stefano Di Fonzo, Gilberto Stella, Cristiano Castellani, Marco Locci, Rosanna Mazzoni, Paolo Burini, Marcello Bocchini e Paolo Mariani).
Ad opporsi, insieme alla Procura, i curatori fallimentari della Scs, Eros Faina e Paolo Sambuchi, difesi dal professor Lorenzo Stanghellini del foro di Firenze; il curatore della Scs Gestione Immobiliare, Eros Faina, difeso dall’avvocato Tiziana Stemperini di Perugia. Non si sono invece costituiti i membri del Cda precedente alla gestione Heller che aveva chiesto la liquidazione dei propri compensi da devolvere ai terremotati (Massimo Marcucci, Angelo Mariani, Maria Cecilia Venturi, Daniele Betti, Pier Francesco Graniti, Sandro Martinelli, Francesco Zeppadoro e Fabio Petrini) anche se la loro posizione è stata ugualmente esaminata dalla Corte d’appello. Emolumenti che, per quanto almeno attiene al Cda, sono stati nel tempo liquidati.
I giudici di secondo grado, dopo aver ritenuto corretta la decisione del Tribunale di Spoleto di revocare la domanda di concordato, dedicano ben 8 pagine alle motivazioni con cui respingono il ricorso. A cominciare dalla insussistenza della continuità aziendale: la gestione del patrimonio immobiliare e di quello azionario posseduto in Bps rappresentano “mero godimento dei beni”; quanto alla prestazione dei servizi in favore dei soci “è indubitabile che sia da tempo cessata, sia perché lo dichiara il debitore nella memoria…, con la previsione di almeno un biennio ai fini della riattivazione…, sia perché il comportamento stesso del debitore in corso di procedura (richiesta di autorizzazione al Tribunale per poter riattivare il servizio in favore dei soci) e la previsione nel piano del ricavo di proventi di tali attività differita al biennio post-omologa…attesta la attuale inesistenza del servizio e l’assoluta carenza di strumenti utili all’uopo, in pendenza della procedura”.
Quanto alla situazione patrimoniale i giudici evidenziano come questa sia “ingente” (28 milioni di euro l’attivo, ca. 64 milioni di euro il passivo)” incidente sia a livello economico, sia finanziario…tutto ciò rende palese lo stato di insolvenza”. Pesa tra tutte la liquidazione di 15 milioni di euro in favore del Monte dei Paschi di Siena in virtù dei Patti parasociali firmati a suo tempo e che avevano portato nelle casse dell’istituto spoletino ca. 60 milioni di euro.
La Corte di appello si è soffermata anche sullo sbandierato aumento di capitale di 20 milioni di euro, annunciato da Heller all’udienza del 15 novembre 2017 ma che non venne preso in considerazione dal Tribunale di Spoleto: “è appena il caso di osservare che il prospettato aumento di capitale…mancava di concrete e reali prospettive, trovandosi al mero stadio di manifestazioni di interesse da parte di soggetti esterni, condizionato come ovvio al passaggio per una due diligence in grado di incontrare il ‘gradimento’ degli organi amministrativi dei proponenti”. “In un caso” avevano documentato i curatori del fallimento, la Seriel Srl aveva indicato la propria “manifestazione di interesse irrevocabile vincolata alla conclusione positiva del concordato preventivo”.
Si rilievo alcune delle contestazioni sollevate dalla curatela Scs che ha fra l’altro evidenziato come l’azione di responsabilità promossa dai Commissari di Bankitalia per un danno stimato di 29.961.529 euro negli “atti del concordato all’azione di responsabilità erano state dedicate solo poche e fugaci battute: nel piano del concordato….il possibile provento dall’azione di responsabilità era stato ‘prudenzialmente’ valorizzato a zero…”.
I curatori sostengono inoltre di essere venuti “solo casualmente a conoscenza” che la Scs era proprietaria dell’archivio fotografico di Leonello Fabbri (l’acquisto di una parte dei diritti era avvenuta al prezzo di oltre 87mila euro) “che non risultava elencato nella valutazione tecnica”…”e al quale era stato assegnato un valore pari a zero”. Fa sorridere, rispetto all’ammontare del disavanzo, il credito vantato “da una ditta di lavaggio di automezzi” che avrebbe eseguito anche “pagamenti per non meglio specificati rifornimenti di carburanti”: peccato che la Scs non sia titolare di alcun automezzo. Nel mirino anche le spese del presidente Giorgio Heller che “ha eseguito pagamenti, utilizzando la carta di credito emessa a favore di Scs e da questa allo stesso data in uso, per spese ‘private’ alcune delle quali nel mesi di settembre nello Stato di Israele…”.
Nel respingere il ricorso la Corte ha condannato la Scs, in solido con i membri dell’ultimo Cda, al pagamento delle spese liquidate in 10mila euro per le due curatele, oltre spese forfettarie al 15% e accessori di legge, ma anche “di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione”.
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(aggiornato alle 12.30 del 27 febbraio)