Doveva essere “la spallata” per far cadere Catiuscia Marini e il centrosinistra da sempre inquilino a Palazzo Donini, l’arrivo del leader della Lega Matteo Salvini a Perugia. E invece, su quel palco posto in piazza Italia su cui si affacciano i palazzi del potere politico umbro, Salvini celebra la festa per la “liberazione” dell’Umbria. L’ipoteca che la Lega e il centrodestra avevano sulle regionali che si sarebbero dovute celebrare nel 2020 si rafforza a seguito dello scandalo Sanitopoli che ha coinvolto i vertici del Pd regionale.
Sarà proprio Matteo Salvini, in quanto titolare del Viminale, a stabilire la data delle elezioni in Umbria, che si terranno tra settembre e ottobre, secondo l’iter avviato con le dimissioni da presidente di Catiuscia Marini. Che ribadisce di voler ribadire le proprie dimissioni qualora il Consiglio regionale le chieda di ripensarci.
La Lega era in pressing da giorni perché si andasse al voto anticipato. Nota alla stampa già pronta, con il dito pronto a premere il tasto “invio” nel momento dell’ufficialità. Diramato il comunicato, fuori da Palazzo Donini subito dopo l’annuncio delle dimissioni di Marini si è materializzato il consigliere regionale Mancini, con in mano un cartello: “Marini dimessa!! Ora cambiamento in Umbria“. “Questo cartello è arrivato nel mio ufficio non sono come…” gongola.
Ma il partito di Salvini non si accontenta: “Le dimissioni della governatrice non sono sufficienti – scrive in una nota -. Lei e tutta la sua casta chiedano scusa agli umbri e a tutti quei giovani che in questi anni sono stati costretti ad emigrare perché soffocati, a quanto pare, da quel sistema clientelare che più volte la Lega ha evidenziato e riscontrato. Il Pd chieda scusa ai nostri giovani e alle loro famiglie per aver tolto loro la speranza di credere ma soprattutto di crearsi un futuro migliore“.
Poco prima dell’arrivo di Salvini, il commissario del Pd umbro, Walter Verini, ha parlato alla stampa del “Day After dimissioni Marini“. “Un partito che sta reagendo” afferma Verini. “Segnali già ci sono“, afferma il commissario del Pd umbro. Che però fa anche autocritica a nome del suo partito: “Dovevamo arrivare prima noi a decidere che la politica non deve più litigare, ad esempio, sui direttori delle Asl“. Così come inascoltati sono stati “i campanelli d’allarme” con le sconfitte nelle principali città: Perugia, Terni, Spoleto, Todi… Un elenco che rischia di allungarsi dopo il 26 maggio, più che segnare la “Reconquista”. E ribadisce più volte che Catiuscia Marini ha scelto di dimettersi “in piena autonomia“.
Ed a Salvini e alla Lega Verini ricorda ciò che gli umbri si aspettano sulla ricostruzione fatta ritardare, sulla Ast, sull’area Terni-Narni, sul caso Astaldi. Insomma il Pd prova a sferrare qualche colpo all’avversario per uscire dall’angolo in cui l’ha messo la magistratura. O si è messo da solo, a seconda dei punti di vista…
Di scelta autonoma di Catiuscia Marini parla anche il segretario nazionale Nicola Zingaretti. Che in una nota ringrazia Catiuscia Marini “che con le sue dimissioni ha scelto di mettere al primo posto il bene della sua Regione“. Proseguendo: “Catiuscia, in questi anni è stata al servizio delle istituzioni e dell’interesse generale e ha garantito all’Umbria sviluppo e qualità della vita e dei servizi. E’ stata una guida apprezzata per i suoi territori e benvoluta dalla sua comunità. Ora, sebbene in presenza di un’indagine che è ancora allo stato preliminare, ha scelto con responsabilità di fare un passo indietro proprio allo scopo di evitare imbarazzi e strumentalizzazioni per la sua Umbria. Da garantisti, aspetteremo che la giustizia faccia il suo corso prima di emettere giudizi definitivi. Spero lo facciano tutti”. Un brodino: il giorno prima, con la sua conferenza alla stampa estera, aveva di fatto scaricato Catiuscia Marini ancora governatrice umbra, spingendola alle dimissioni.
Marini, nelle varie interviste rilasciate dopo le sue dimissioni, spiega che non si è dimessa per fare un favore al partito, ma perché l’ha ritenuta la scelta più opportuna per sé. “Non l’ho fatto per il partito, l’ho fatto per me“. Spiegando che in questo modo è più libera di potersi difendere da accuse che ritiene di poter confutare. Anche se, da indagata, attende ancora di conoscere le contestazioni che le vengono fatte dai magistrati titolari dell’inchiesta sulla Sanitopoli umbra. Assicura che resterà nel Pd, “il mio partito“. E quando le chiedono se il suo impegno in politica finisce qui, si limita a dire: “Per ora è uno stop“. Anche perché, con le sue dimissioni, si sente libera di fare tutto ciò che riterrà utile per l’Umbria e per il Pd.
Partito verso il quale, comunque, qualche sassolino nelle scarpe se lo toglie. Anche se l’impressione è che ne rimangano degli altri. Non spara direttamente contro il segretario Zingaretti (“ci siamo sentiti“, conferma). Racconta di aver ricevuto un messaggio di Renzi, di cui tiene per sé il contenuto (e chissà che non ci sia scritto proprio qualcosa a proposito della linea Zingaretti). Se la prende, anche se con il sorriso, con Calenda e la coordinatrice De Micheli. “Pensavo che il Pd del 2019 fosse una forza riformista e garantista, non una comunità di giustizialisti, Mi sbagliavo” commenta a caldo a laRepubblica intervista da Goffredo De Marchis. Concetto ribadito anche ai microfoni Rai: “Il Pd nazionale si è comportato in maniera diversa rispetto ad altri colleghi“. Del resto, come aveva sempre confidato per le colonne di laRepubblica, il pensiero che la amareggia è: “Se fossi stato un presidente uomo dal Pd non avrebbero fatto quelle dichiarazioni“.