Inizia una settimana fittissima di lavoro per magistrati e giudizi perugini sull’inchiesta della Sanitopoli perugina. Con l’appuntamento più atteso in Tribunale che è quello di martedì 18 giugno, quando Gianpiero Bocci comparirà nuovamente davanti ai giudici Narducci, Avenoso e Avella per chiedere che venga revocata nei suoi confronti la misura degli arresti domiciliari, dopo la proroga chiesta ed ottenuta dai pm titolari dell’inchiesta, Formisano e Abbritti.
I legali dell’ex sottosegretario ribadiscono che, avendo Bocci lasciato la carica di segretario regionale del Partito democratico, non sussiste il rischio di inquinamento delle prove argomentato dai pm nella loro istanza di proroga della misura cautelare. Per i magistrati, invece, Bocci gode di conoscenze attraverso le quali potrebbe in qualche modo influire sulle indagini in corso.
Indagini che i pm ritengono praticamente concluse sul filone dei presunti concorsi pilotati. Sulla base di quanto emerso dalle intercettazioni, dei file trovati in alcuni dei telefoni cellulari e dei pc sequestrati, e delle ammissioni (pur parziali e non da parte di tutti) emerse nel corso degli interrogatori, i magistrati ritengono di aver raccolto prove a sufficienza per dimostrare il “sistema” che decideva le graduatorie dei concorsi per le assunzioni e le carriere interne all’ospedale di Perugia. Almeno limitatamente ai 12 concorsi finiti nel mirino dei magistrati, convinti tuttavia che il sistema operasse in pratica per tutte le procedure concorsuali, anche su quelle non finite nell’inchiesta.
Ecco perché già entro l’estate o addirittura prima che scadano le misure cautelari nei confronti dei tre indagati ancora agli arresti domiciliari (con Bocci, gli ex manager dell’ospedale Emilio Duca e Maurizio Valorosi) i pm Abbritti e Formisano potrebbero chiudere questo filone di indagini e chiedere il processo immediato a fronte dell’evidenza delle prove raccolte. Con la possibilità, per coloro che si ritroveranno imputati, di scegliere un rito alternativo ed evitare così il dibattimento in aula. Una strada che però i politici coinvolti non vorrebbero percorrere, convinti di poter dimostrare la propria estraneità ai fatti che vengono loro contestati.
Intanto, si apprende che un mese fa, pochi giorni prima della seduta con la quale il Consiglio regionale (con il suo voto determinante dopo la defezione di Leonelli) aveva respinto le sue dimissioni da presidente della Regione, Catiuscia Marini è stata interrogata dai pm. “Non ho violato la legge” aveva ribadito proprio in Consiglio regionale Catiuscia Marini, che si è detta sempre convinta di poter chiarire quanto da lei fatto a proposito del concorso per il quale, secondo le accuse, avrebbe cercato di favorire una conoscente.
Ed ai magistrati, secondo quanto si è appreso, Marini, con a fianco il proprio legale, si sarebbe detta estranea al “sistema” ipotizzato dalla Procura, ricordando che l’Azienda ospedaliera agiva in autonomia nell’espletamento di gare e appalti, dovendo seguire gli indirizzi politici della Regione solo sugli obiettivi da perseguire, soprattutto nel rapporto servizi-costi. Marini, nella conferenza stampa all’indomani dell’arresto di Duca, Bocci, Barberini e Valorosi (giorno nel quale era stata anche lei, da indagata, sottoposta a perquisizioni) si era detta “tradita” sulla base di quanto stava emergendo dalle indagini.
Poi, le intercettazioni emerse attraverso il Trojan installato sul cellulare di Duca e le deposizioni degli assistenti della presidente, tra cui quella dell’ex capo di gabinetto Valentino Valentini, hanno creato la bufera che ha indotto Marini, pur continuando a professarsi innocente, a dimettersi, sulla base delle pressioni ricevute soprattutto dal suo partito.
Il “sistema” ipotizzato dalla Procura viene respinto da tutti gli indagati eccellenti. Con i politici in generale che, pur nelle diverse posizioni in cui si trovano sulla base delle accuse che vengono loro mosse, parlano di scelte fatte dai manager. E questi ultimi che invece, anche attraverso le parziali ammissioni di Duca a confermare alcuni sfoghi intercettati, dicono di aver subito pressioni. E non solo dalla politica.
I magistrati vogliono chiudere alla svelta il filone relativo ai presunti concorsi pilotati perché hanno molto altro materiale su cui indagare. A cominciare dalle soffiate di cui alcuni degli indagati avrebbero beneficiato circa l’esistenza dell’indagine in corso. Tanti nomi non sono stati fatti. E sono quelli che i magistrati vogliono sapere, anche per consentire di fare “pulizia” all’interno degli uffici dove transitano le carte delle inchieste.
E poi c’è il filone degli appalti, dei soldi. Quello da cui sarebbe partita l’intera inchiesta, che attraverso intercettazioni ha portato a smascherare il presunto sistema dei concorsi pilotati.