Sanità, Albini (Confindustria): "Demografia e competitività preoccupano welfare Paese" - Tuttoggi.info

Sanità, Albini (Confindustria): “Demografia e competitività preoccupano welfare Paese”

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Sanità, Albini (Confindustria): “Demografia e competitività preoccupano welfare Paese”

Mer, 16/10/2024 - 19:03

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(Adnkronos) – “Abbiamo davanti un futuro che non siamo in grado di prevedere, quindi non possiamo guardare al passato pensando di imparare qualcosa per il futuro. Abbiamo davanti delle incognite, alcune delle quali hanno già però una loro precisa definizione, che cambiano lo scenario complessivo. Se guardiamo la demografia e lo scenario di competitività in cui si muove il paese, è chiaro che dobbiamo preoccuparci del nostro sistema di welfare pubblico che, nonostante venga spesso bistrattato, è tra i più generosi al mondo: spendiamo 540 miliardi di euro fra previdenza, sanità e assistenza, investiamo metà della spesa pubblica e un terzo del Pil”. Lo ha detto Pierangelo Albini, direttore Area Lavoro, welfare e capitale umano di Confindustria, l’incontro ‘Le nuove sfide dei fondi sanitari: dall’integrazione pubblico-privato alla tutela dei grandi rischi’, che si è svolto a Roma, nel decimo compleanno del Fondo Asim, Fondo di assistenza sanitaria integrativa del settore delle imprese esercenti servizi di pulizia, servizi integrati/multiservizi. 

“È evidente che la capacità di sostenere questo sistema di welfare dipende dalla ricchezza che il paese produce – osserva Albini – L’Italia, con la sua spina dorsale manifatturiera, è invitata a pieno titolo in consessi internazionali come il G7, G8, G20, ma deve competere con aree del mondo che hanno diverse sensibilità sui diritti e un concetto di capitalismo completamente diverso dal nostro. Quando parlo di imprese, spesso cito San Bernardino da Siena che, nel Medioevo, scrisse un trattato sull’usura, distinguendo tra il prestito a usura e quello fatto per avviare attività artigianali che creano ricchezza per la comunità. Il sistema di welfare regge se la società produce ricchezza responsabilmente. La vera domanda oggi è se le imprese hanno coscienza di questa responsabilità. Spesso le scelte imprenditoriali sono dettate dalla convenienza, ma è la politica che deve rendere conveniente fare le cose giuste”. 

L’Europa “è sempre più in difficoltà, e oggi si mette in discussione su molti fronti, ma non so fino a che punto lo faccia davvero – riflette Albini – In Italia, siamo in un contesto unico, dove cerchiamo di costruire benessere per la collettività. Tuttavia, è chiaro che dobbiamo cambiare il nostro modo di vedere le cose. Non è solo la dimensione negoziale o contrattuale a risolvere i problemi, ma è ecessaria una visione più ampia per sostenere il sistema. La domanda cruciale è come rendere equa la distribuzione dei costi. Il nostro sistema di welfare è ampiamente finanziato dalla fiscalità generale, e qui si apre il tema dell’equità nei sistemi di tassazione. Il lavoro autonomo e il lavoro subordinato dovrebbero essere tassati allo stesso modo e quando si costruiscono sistemi di protezione sociale bisogna farlo con equità complessiva. Abbiamo spesso creato compartimenti stagni nei settori, con silos verticali costruiti sulle relazioni sindacali, ma dobbiamo iniziare a ragionare con una logica diversa”. 

A tale proposito, “c’è un evidente rapporto tra sanità pubblica e privata, che non dovrebbe essere una competizione, ma una collaborazione – sottolinea l’esperto – Serve un disegno politico chiaro. Ciò che oggi forse manca è proprio la capacità di avere una visione sul futuro del paese e del suo sistema di protezione sociale. Quando guardiamo ad altri paesi, come gli Stati Uniti, vediamo situazioni di estrema precarietà sociale. In Italia, quando qualcuno cade, siamo ancora in grado di prenderlo e curarlo. Questo è un problema politico, che richiede di decidere quale futuro vogliamo costruire e quali tutele sociali garantire. Abbiamo necessità di costruire qualcosa con un respiro più ampio, che favorisca l’omogeneità nelle tutele. Questo può avvenire anche attraverso strumenti che creino una cultura condivisa, educando le persone e le imprese – conclude – a operare in modo più responsabile”. 


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