SAN PONZIANO: MONS. FONTANA "SPOLETO AMATA, RITROVA IL TUO CORAGGIO!" (foto) - Tuttoggi.info

SAN PONZIANO: MONS. FONTANA “SPOLETO AMATA, RITROVA IL TUO CORAGGIO!” (foto)

Redazione

SAN PONZIANO: MONS. FONTANA “SPOLETO AMATA, RITROVA IL TUO CORAGGIO!” (foto)

Lun, 14/01/2008 - 12:47

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E’ terminata poco fa l’omelia che l’Arcivescovo di Spoleto-Norcia Riccardo Fontana ha tenuto dall’altare della cattedrale di Spoleto, chiamata oggi a festeggiare il suo Patrono, San Ponziano. Monsignor Fontana ha tracciato un bilancio di questo ultimo periodo, denunciando i mali che affliggono la società locale ed esortando le istituzioni tutte a fare la loro parte, sopratutto per quanto riguarda i giovani, la loro educazione, i loro valori sempre più accerchiati dai mali della società moderna. Ha esordito ricordando come in poche settimane l’Umbria festeggi molti dei suoi Santi Patroni. Poi ha ricordato il decennale del terremoto, che tanto ha provato la popolazione umbra la quale ha potuto contare sull’intervento delle istituzioni. “Anche da questa cattedrale giunga il ringraziamento al Governo e alla regione che sono intervenuti per riparare i danni dei terremoti”.

Poi l’invito a tutto campo ad abbandonare “le logiche campanilistiche che ci costringono ad un provincialismo del passato” invitando tutti “a lavorare insieme per costruire il futuro”. Perchè, torna a ribadire il prelato, “le differenze di opinioni sono una riccheza, le polemiche un danno. Da sempre”. Polemiche che non scalfiscono la missione della Chiesa “sappiamo ben prendere le distanze – dice Fontana – da commenti parziali e ingiusti che ci hanno penalizzato nell’opinione pubblica ben al di là dei confini regionali”. Il pensiero del vescovo è ora tutto per i giovani che definisce “i “Santi Ponziani” del nostro tempo, le cui prove non sono i flagelli del martire ma le disillusioni che provengono da certa società che vive sull’effimero, sulla giustificazione del disimpegno, sulla superficialità del giudizio”. Non vi sono più leoni da affrontare nell’arena, le prove a cui sono sottoposti quotidinamente i ragazzi oggi sono i modelli di vita arroganti e pericolosi”. Ritorna sulla denuncia già lanciata da tempo “la diffusione dell’alcool già tra i ragazzi delle scuole medie, combinato con sostanze allucinogene, e la banalizzazione del linguaggio sessuale, che toglie delicatezza all’amore, scavano nel vissuto dei ragazzi più del piombo rovente sulla schiena del martire Ponziano. Gli educatori non possono seguitare a tacere”. Infine, con voce ferma, l’invito ai tanti fedeli “Spoleto amata, ritrova il tuo coraggio!”.Chi pensava che il Vescovo facesse riferimento ad un suo prossimo trasferimento (annunciato in queste settimane da alcuni quotidiani che davano per imminente un nuovo incarico prima alla guida della diocesi di Pisa, poi a Perugia) è rimasto deluso. Fonti a lui molto vicine dicono che la missione dell’alto prelato non è ancora da considerarsi conclusa su questo territorio. “L’arcivescovo condividerà ancora altre feste di San Ponziano con i suoi fedeli”.

Spoleto stamani ha dimostrato ancora una volta il suo amore per il Santo Patrono. La Cattedrale era piena di fedeli. Sui primi banchi tante autorità a cominciare dal sindaco Brunini, il presidente della Regione Maria Rita Lorenzetti, gli onorevoli Sereni e Ronconi, il sindaco di Norcia Alemanno, assessori e consiglieri comunali e le più alte cariche militari e delle forze delle ordine.

(Ca. Cer.)

Aggiornato alle 16.40

OMELIA DELL’ARCIVESCOVO NELLA CHIESA CATTEDRALE +++ 14.01.2008

1. Misurarsi con l’identità

Ponziano a Spoleto, Feliciano a Foligno, Costanzo a Perugia – ma anche Emiliano a Trevi, Gregorio presbitero di questa città, Angelo a Nocera, Rinaldo ad Assisi – fino a Valentino di Terni: nel giro di poche settimane si ricordano i patroni di questa terra, con giusto concorso di popolo. Al di là delle singole vicende martiriali, l’Umbria si interroga sulla propria identità cristiana.

Insieme, i vescovi delle otto Chiese sorelle, nel decennale del terremoto, abbiamo ricordato a tutti, a noi stessi per primi, che occorre “Ricostruire l’anima del territorio”. Non vi è luogo significativo dell’Umbria in cui il Governo nazionale, e per esso la Regione, non siano intervenuti per riparare i danni provocati dai sismi. E dobbiamo francamente dire, anche da questa Cattedrale, la gratitudine perché l’amministrazione civile ha fatto bene la sua parte nelle case, negli ospedali, nelle fabbriche e anche nelle chiese.

Anche noi dobbiamo fare la parte nostra. La comunità cristiana è fortemente interpellata dalla trasformazione, non solo materiale ma soprattutto culturale, che è in atto nel nostro ambiente. Sono i ‘segni dei tempi’ con cui misurarci. La complessità del fenomeno che coinvolge vari aspetti della vita umana – la persona, la famiglia, l’economia, la politica – non ci dispensa dal contributo che come discepoli di Cristo siamo tenuti a dare alla società umana in cui viviamo, come già è attestato nel IV secolo dal discorso a Dionieto, su cui fummo formati nella nostra giovinezza: “i cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per regione, né per lingua, né per costumi…ma, come è l’anima nel corpo, così i cristiani sono nel mondo”.

Papa Benedetto XVI ci ha ancora invitato ad essere testimoni di speranza. Credo che tocchi ai cristiani, anche in Umbria, invitare tutti a guardare al futuro, senza paure, con molta positività. Ripensare la nostra identità, il giorno del patrono, è occasione giusta per assumere ancora gli impegni che ci appartengono, perché ciascuno faccia la parte propria. Nello scorso mese di ottobre, durante la Settimana Sociale dei cattolici italiani, a Pistoia e a Pisa, si è ribadita la volontà di lavorare tutti per “il bene comune”. Anche in Umbria questo obiettivo ci attrae. Noi cristiani sappiamo di non poterci sottrarre al dovere che promana dal Vangelo. Sappiamo anche che, nel pluralismo culturale del nostro tempo, il fascino del dialogo e della cooperazione è da noi condivisibile con molti uomini giusti, anche al di fuori della Chiesa. La nozione di “bene comune” è come la piazza delle nostre città medievali, verso cui convergono le principali vie del vissuto umano e dalle quali si ricava l’identità di un popolo. Questo territorio, che già l’Imperatore Federico Barbarossa descriveva forte di “cento torri”, riuscirà a valorizzare al massimo le proprie risorse se, nel rispetto delle proprie identità particolari, saprà comporsi in unità d’azione, ma, ancor prima, di progettazione e di mutue, vicendevoli intese. La stima e la considerazione degli uni per gli altri sono i presupposti dello sviluppo e della pace sociale.

Più volte abbiamo detto alla città che le differenze di opinioni sono una ricchezza, le polemiche un danno. Lo stesso vale per l’Umbria intera: le logiche dei campanili ci costringono ad un provincialismo del passato; la sinergia apre il futuro. Mi par di vedere che qualche ascolto abbiano trovato, negli anni, i nostri appelli. Da questa Cattedrale durante la Settimana Liturgica Nazionale, lo scorso mese di agosto, abbiamo fatto riverberare su tutte le Chiese d’Italia che “celebrare nella città dell’uomo” comporta necessariamente far nostra l’esortazione dell’Apostolo Paolo: “comportatevi da cittadini degni del Vangelo”.

2. Il servizio alla generazione nova

Nel giorno del patrono, credo che sia necessario guardare più avanti delle strategie e delle logiche mondane e tornarci a misurare con i temi grandi della santità e della testimonianza. La prima per ricordarci il primato di Dio e liberarci dalle idolatrie del nostro tempo; la seconda per riassumere in una sola nota tutte le armonie della carità, che animano il nostro servizio al mondo. Un’attenzione particolare per chi vuol riflettere sull’identità umbra, nella complessità che stiamo vivendo, è la questione educativa. Le ragioni della fede, pur nelle logiche un po’ individualiste del nostro popolo, sono arrivate così forti fino a noi dall’epoca dei martiri, che ancor questa generazione è avvezza a sentirle come sue.

Le cronache di questo ultimo anno ci hanno forzato ad interrogarci su quale peso abbiano effettivamente le scelte cristiane nella società umbra. Sappiamo ben prendere le distanze da commenti parziali e ingiusti che ci hanno penalizzato nell’opinione pubblica ben al di là dei confini regionali: la grande maggioranza dei nostri ragazzi non si identifica nei modelli che sono stati rappresentanti. Più che fissarci solo sulla trasgressione, giova indagarne le cause. Ci preoccupa il prevalere dell’effimero, la giustificazione del disimpegno, la superficialità del giudizio. Vi è in atto una sorta di terremoto mediatico capace di sovvertire l’identità culturale del nostro popolo, assai più dei sismi. Si rischia di indurre nella generazione nova modelli di vita dove giustizia, fortezza, prudenza e temperanza non siano più i cardini del nostro sistema di valori anche civili.

Per quanto riguarda l’ambito della fede non bastano i riti della tradizione: prime comunioni, cresime, matrimoni e funerali o gli altri indici amati dai sociologi, rilevano solo parzialmente il fenomeno religioso. Quali eredi dei Santi Benedetto e Francesco non vogliamo rinunziare all’interiorizzazione, all’adesione personale al Vangelo, alla carità vissuta, che nella nostra storia ha costruito una invidiata civiltà.

Il giovane martire Ponziano è da generazioni la sintesi di un’umanità cavalleresca e bella, innalzata e trasformata dall’opera della grazia. Gli antichi ci tramandano il patrono rivestito del blu dei nostri sogni, coperto con il rosso mantello della grazia di Cristo, che rende possibili anche le meraviglie. La bandiera che il giovane martire tiene in mano è diventata emblema della città nostra. Combina, nel bianco, la purezza delle intenzioni di chi cerca la giustizia, a qualunque aggregazione culturale appartenga, con il rosso della croce che è la fortezza per pagare in prima persona il riscatto dal banale, sull’esempio di Gesù. C’è bisogno che tutti torniamo a portare il nostro contributo per la ricerca e la riproposizione dei valori comuni. C’è bisogno che tutte le Istituzioni umbre tornino a collaborare, ciascuna nel proprio specifico, per tornare a rappresentare in modo credibile la bellezza che ci appartiene, ed è la nostra identità.

Del martire spoletino l’antica passio esalta la fortezza intrepida di fronte al giudice iniquo, espressione di una società timorosa del nuovo. I “Santi Ponziani” del nostro tempo, i ragazzi delle nostre famiglie, hanno diritto ad essere educati a resistere al male. Le loro prove non sono più i flagelli del martire, ma le disillusioni con cui si mettono alla prova i loro ideali. I figli non si misurano con i leoni nell’anfiteatro, ma con modelli di vita arroganti e pericolosi, divulgati nella ‘piazza mediatica’. Non è la fame che li prova, ma la mancanza di risposte vere e credibili ai loro quesiti sull’esistenza e sul senso della vita. C’è nei ragazzi un forte desiderio di misurarsi con le esperienze di vita di chi ha conosciuto il mondo più di loro. I condizionamenti della nostra gioventù, gli stereotipi che vicendevolmente si impongono come stile di vita, sono più forti delle catene di S. Ponziano. La diffusione dell’alcool già tra i ragazzi delle scuole medie, combinato con sostanze allucinogene, e la banalizzazione del linguaggio sessuale, che toglie delicatezza all’amore, scavano nel vissuto dei ragazzi più del piombo rovente sulla schiena del martire Ponziano. Gli educatori non possono seguitare a tacere. Ecco il fuoco a cui vogliamo educare i figli a resistere: la nostra generazione è stata educata a scegliere al bivio. Dobbiamo assicurare anche ai ragazzi questa chance: il fuoco che divampa può purificare o distruggere. Non è libero chi fa quel che vuole, ma chi sceglie cosa fare della propria vita.

L’Evangelo della sequela, secondo la lezione lucana che abbiamo appena ascoltato, ci rammenta che non si può essere educatori e tantomeno cristiani senza farci carico delle difficoltà del nostro tempo. I mille particolarismi che ci infastidiscono ogni giorno sono i vari nomi della croce.

3. Io confido nel Signore, non temerò quello che mi potrà fare l’uomo

Siamo convenuti davanti all’altare di Dio, gli occhi rivolti a Cristo, in compagnia del Protomartire Ponziano, per ripeterci l’un l’altro che la vita è bella se è spesa per amore. E’ inutile, se conservata per sè stessi, nella cultura egoista che tenta di risorgere ad ogni generazione.

Già la nostra presenza in folla stamani è come una preghiera. Siamo consapevoli che l’intercessione del martire è potente davanti a Dio. Anche noi, con il linguaggio dei padri, ripetiamo la fides spoletana: “i mali scompaiono, i favori celesti si manifestano presso il sepolcro del beato Ponziano; anche i malati che vengono a venerarlo sono risanati”. Coraggio è il nome della speranza che stamani siamo venuti a riaccendere in questo antico tempio, consapevoli che la fatica quotidiana, con l’aiuto di Dio, porterà frutti.

Ci piace far risuonare, nel cuore oltre che sotto queste antiche navate, la parola dell’Apostolo: “non vi sgomentate…non abbiate paura…non vi turbate”. Rammentando S. Ponziano, Spoleto amata, ritrova il tuo coraggio! Faremo ancora la nostra parte con “dolcezza e rispetto” verso tutti, onorando la “ retta coscienza” alla quale siamo stati formati, nella convinzione che in queste nostre valli, confortati dalla presenza viva dei patroni, sappiamo bene quale sia la strada da percorrere, perché i tempi che verranno siano ancora benedetti. E’ questa una identità collettiva, alla quale nessuno di noi vuol rinunziare.

Ricostruire l’anima è esperienza concreta da condividere tra tanti. La maggior risorsa della civiltà umbra è la cultura della solidarietà, che dà sapore alla vita. E’ il germoglio del Vangelo che, come sotto gli ulivi, pur dopo la calaverna, torna sempre a spuntare dalle radici profonde ed è il segno di quella pace che viene da Dio e ci fa apprezzati nel mondo.

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