Sono passati più di 6 mesi da quando il sindacato dei pubblici esercizi Fipe-Confcommercio della provincia di Perugia, dando voce al malumore grande e crescente degli operatori della ristorazione, ha spinto sull’acceleratore e alzato i toni del confronto con la Regione – confronto peraltro aperto molto tempo prima – per una riforma della legge sulle sagre (L. R. 48/98), che avesse come imprescindibili linee guida la qualificazione di questi eventi – da ricondurre alla valorizzazione delle vere tipicità locali – una limitazione della durata e la loro equiparazione in termini di adempimenti alle attività di ristorazione, onde porre un freno alla concorrenza sleale esercitata nei confronti dei pubblici esercizi.
Fipe-Confcommercio a maggio 2012 aveva presentato insieme a Confesercenti una propria proposta di modifica alla legge, a sostegno della quale erano state raccolte centinaia di firme, incontrando la disponibilità dell’assessore regionale al Turismo Fabrizio Bracco a recepirla. In questi mesi, in cui il confronto è continuato, anche con il coinvolgimento dell’Unpli, l’Unione delle Pro Loco, Fipe ha sempre ribadito la richiesta che la partita si concludesse entro il 2012, e la Regione aveva assunto un impegno in questo senso: solo in questo modo, infatti, i Comuni avrebbero potuto recepire le modifiche nei propri regolamenti fin dal 2013. Così invece non è stato, e tutto è ancora in alto mare.
“Un comportamento grave da parte della Regione, un ritardo inaccettabile – tuona il presidente provinciale di Fipe-Confcommercio Romano Cardinali – perché così abbiamo perso un altro anno e nel 2013 rischiamo seriamente che la situazione rimanga com’è. La cosa appare ancora più colpevole alla luce del fatto che – come da noi suggerito – la Regione avrebbe potuto tranquillamente procedere in contemporanea alla riforma della legge sulle sagre e a quella sul commercio. Quest’ultima, come si sa, è stata approvata dalla Giunta a fine dicembre; sulle sagre invece ancora nulla. Si continuano ad ignorare le ragioni di un settore economico vastissimo, quello dei pubblici esercizi, che produce reddito ed occupazione e che, a maggior ragione in seguito all’accentuarsi del peso della crisi, non è più disposto a tollerare la latitanza delle istituzioni nell’evitare la proliferazione di iniziative che non qualificano né promuovono adeguatamente il territorio ed esercitano una forma di concorrenza sleale avvertita come insostenibile da imprese bersagliate da tasse e tariffe, sottoposte a continue visite da parte degli organi di controllo, penalizzate dalla crisi dei consumi e private di liquidità dalla stretta creditizia. Dalla Regione – conclude Cardinali – aspettiamo un segnale immediato: altrimenti gli operatori sono pronti a scendere in piazza”.