Con la stagione della sagre ormai in fase avanzata, ci sono tutti gli elementi per fare un primo bilancio della applicazione della legge regionale in materia approvata ad inizio anno. E secondo Confcommercio Umbria – che l’ha fortemente voluta, per rispettare lo spirito originario e caratterizzante delle sagre e salvaguardare le ragioni della ristorazione, alle prese con la concorrenza di manifestazioni diventate spesso veri e propri ristoranti a cielo aperto senza averne gli obblighi relativi – questo bilancio non è positivo, perché troppi Comuni non si sono adeguati alla normativa o hanno trovato modalità per aggirarla.
Per chiarire il quadro, va detto che solo i Comuni che hanno approvato il calendario delle sagre prima della entrata in vigore della nuova legge, potevano continuare ad applicare nel 2015 la vecchia normativa 46/97 e dunque mantenere lo status quo. Ma sono davvero pochi (ad esempio c’è Spoleto).
Va anche ricordato che la nuova legge – a cui tutti gli altri Comuni avrebbero dovuto adeguarsi – introduce la fondamentale distinzione tra feste popolari e sagre: le sagre hanno come finalità la valorizzazione del territorio mediante l’utilizzo e la somministrazione di prodotti enogastronomici che ne siano espressione; le feste hanno finalità culturali, storiche, politiche, religiose, sportive e di volontariato, non possono contenere nella denominazione riferimenti espliciti, diretti o indiretti, a prodotti alimentari (e questo ne può diminuire il richiamo), e hanno spazi per la somministrazione più limitati.
Secondo questi principi, avrebbe dovuto esserci una vasta “riclassificazione” di manifestazioni non caratterizzate per la tipicità dei prodotti da sagre a feste. Il che non è avvenuto: tanti Comuni hanno infatti usato l’escamotage di ampliare a dismisura, rispetto a quello definito dalla Regione, l’elenco dei prodotti tipici locali e delle preparazioni e lavorazioni caratterizzanti che possono essere preparati e somministrati per continuare a definirsi sagra. Un ampliamento così a maglie larghe e generico da far ragionevolmente sospettare che l’elenco stesso sia costruito semplicemente sulla base di una ricognizione delle sagre esistenti nel proprio territorio al solo fine di legittimarle tout court. C’è anche chi ha ampliato questo elenco con delibera e non con il regolamento previsto. Ecco allora prodotti tipici che è arduo considerare tali, come l’insalata verde o lo stinco, o le verdure grigliate; ecco ancora la sagra della fragola, o della macedonia, tanto per fare alcuni esempi. Si continuano insomma a chiamare sagre manifestazioni che, non avendo requisiti di tipicità, dovrebbero essere denominate feste. In questo modo, denuncia Confcommercio Umbria, si sta vanificando lo sforzo di qualificazione che è obiettivo primario della legge regionale, obiettivo peraltro condiviso, grazie ad un lungo confronto, anche con i soggetti istituzionali che rappresentano le ragioni dei Comuni, come l’Anci, e delle Pro Loco, come l’Umpli. Da qui la rinnovata sollecitazione alle amministrazioni locali perché osservino lo spirito e il dettato della legge regionale in tutte le sue parti; adottino regolamenti in cui la tipicità dei prodotti sia comprovata e reale; rispettino la denominazione di sagre e festa popolare (frutto di una distinzione sostanziale e non di facciata), i requisiti delle aree destinate a questi eventi e la durata massima della somministrazione; limitino l’introduzione di deroghe; evitino escamotage per prolungare sagre e feste; prevedano un serio programma di controlli, indicando la quantità minima di ispezioni da realizzare in un anno. Se la volontà di collaborare con le istituzioni locali è massima, Confcommercio Umbria è pronta peraltro ad azioni più forti, poiché non intende accettare ulteriormente quelle che molti operatori, fortemente arrabbiati per una situazione che non accenna a cambiare realmente, considerano “prese in giro”: continuerà dunque a vigilare attentamente sulla correttezza dei comportamenti delle amministrazioni, a denunciare, come già fatto in questi mesi, le irregolarità, fino ad ipotizzare in casi estremi l’impugnazione di questi regolamenti che non rispettino la legge.