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Rocciata e ‘fave dei morti’: sapete il loro significato?

Secondo un antico motto, tutti noi ‘siamo quello che mangiamo’ e se questo è vero, allora è altrettanto vero che gli umbri sono umbri anche nel mangiare.

Nell’era del fast food e della cosiddetta ‘contaminazione alimentare’ anche tra gli antichi borghi medievali, nelle antiche città etrusche e nelle millenarie cittadine d’origine romana che caratterizzano il territorio regionale, possiamo mangiare in ogni giorno dell’anno ogni tipo di cibo: dal kebab alla paella, dal sushi alla carne argentina, dalla cheese cake ai dolcetti svedesi.

Per fortuna però, restano consolidate e incrollabili – come le mura dei nostri paesi – alcune tipiche tradizioni che affondano le loro radici nel dna stesso della terra umbra. Le nostre nonne e – purtroppo sempre più raramente le nostri madri – preparano ancora determinati cibi in altrettanto ben determinati periodi, tramandandosi le ricette di generazione in generazione. Una sorta di ancestrale rituale domestico che segue tradizioni di portata inimmaginabile.

Avete mai pensato al legame tra la forma di una torta, e l’allusività di questa ad una dedicazione specifica? Ebbene, questi segni – spiega il professor Ivo Picchiarelli – “sono ancora evidenti, e quindi leggibili, in molti dolci della tradizione umbra, legati all’attuale calendario liturgico cristiano, che conservano e trasportano tanti segni e resti, spesso intatti, della mitologia e della ritualità pagana”.

Proprio così, la classica ‘torta della nonna’ – in questo caso umbra – non è poi tanto diverso da quelli che si preparavano in epoca pagana e precristiana per onorare alcune festività e celebrare particolari periodi dell’anno.

Volete un esempio? “E’ il caso delle ‘fave dei morti’ che, unitamente ai ‘maccheroni con le noci’ dell’Umbria orientale e agli ‘ossicini’ o ‘stinchetti’ a forma di tibie di Perugia – tanto per citare ancora il professor Picchiarelli – sono tradizionali per la ricorrenza del due novembre’. Altro che ‘dolcetti di Hollowen’ da noi esistono da sempre dolci che si mangiano solo ‘per i morti’.

“Questi dolci di pasta di mandorle – spiega Picchiarelli nei suoi scritti – sono evocativi del frutto, le fave per l’appunto, che erano già intese come nutrimento dei ‘lemuresì’ ovvero sia le anime dei morti, nella festività romana dei ‘Lemuria’ ai primi di maggio. Non intese come dolci, ma lessate in minestra, le fave costituivano fino ad alcuni decenni fa, il piatto rituale della festività dei morti nelle campagne umbre”. In molte case di Foligno, ‘per i morti’ veniva e viene preparata la rocciata, ma addirittura, la forma stessa di alcuni dolci ha precisi riferimenti.

“Una simbologia carica di significati, sia per la forma quanto per il periodo calendariale di dedicazione, è quella che si riguarda molti dolci ‘ad anello’ o ‘a spirale’ – ci fa sapere il professor Picchiarelli – come, in Umbria, i perugini ‘torcolo’ e ‘torciglione’ o ‘serpente’, il ‘roccio’ e la ‘rocciata’ spoletina e folignate. La forma circolare e ad anello è quella che più chiaramente esprime la forma ciclica e rotatoria dell’anno nel momento in cui la fine si collega con l’inizio. Non è per nulla casuale, quindi, che il ‘torciglione’ o ‘serpente’, il dolce perugino, o meglio del Trasimeno, il lago di Perugia, uno splendido e squisito rettile di pasta di mandorle che si morde la coda, rispecchi e comunichi il senso e il mito della fine. Allo stesso modo ad anello, o a spirale, è infatti la ‘rocciata’.