Il Pil dell’Umbria negli ultimi 10 anni è risultato inferiore del 15% rispetto a dieci anni fa, mentre a livello nazionale il calo è poco più del 5%. Ma dove l’Umbria, negli anni della crisi, si è staccata anche in termini di investimenti rispetto alla parte più dinamica del Paese: -44%, a fronte di un calo nazionale del 21%. Sono drammatici i dati presentati dal direttore della Banca d’Italia di Perugia, Nicola Barbera, al Crel (Conferenza regionale economia e lavoro), riunito a Perugia. “La risalita è iniziata – ha detto Barbera – c’è stata una ripartenza, ma la strada è molto lunga e incerta“, invitando ad assumere interventi incisivi e sinergici per un vero rilancio.
Interventi che devono riguardare anche il fronte creditizio, altra nota dolente per l’Umbria, con segnali di rallentamento degli affidamenti alle imprese umbre rispetto al dato nazionale, “perché molte hanno dovuto restituire – ha spiegato Barbera – i fondi messi loro a disposizione negli anni precedenti, elemento questo di freno e preoccupazione”. Dal 2015 i prestiti sono scesi a tassi sostenuti, meno 3% l’anno in media.
E i tassi di interesse a breve sono meno favorevoli per le piccole imprese, che hanno un costo aggiuntivo di 3 punti percentuali ora cresciuto a 4, mentre in Italia è l’1 per cento. Solo una parte delle piccole imprese è fuori da questo circolo vizioso, quelle che stanno in filiera: forniscono aziende che vanno bene e riescono ad avere maggiori finanziamenti e fanno più innovazione tecnologica e digitalizzazione. Ha inciso il fatto che negli ultimi 10 anni si è ridotta la quota di intermediari creditizi presenti in Umbria; la presenza di banche autonome in genere fa da contrappeso. Venti anni fa le banche umbre coprivano il 40% dei finanziamenti ai residenti, a fine 2018 le due rimaste coprono il 4,5%.
A nome della piccola e media impresa ha parlato il presidente di Cna, Renato Cesca, sollecitando azioni differenti a seconda della dimensione aziendale, con politiche verticali per i grandi progetti di sviluppo e orizzontali per le micro e piccole imprese. Il presidente di Confindustria, Antonio Alunni, ha invitato a condividere gli obiettivi: “Se cresce l’industria, allora crescono anche il terziario, il commercio, la qualità della vita nel nostro territorio“.
Anche per il presidente di Unioncamere Umbria, Giorgio Mencaroni, ha criticato la frammentazione delle azioni: “Politiche separate portano a scarsi risultati e non hanno senso in una regione piccola come l’Umbria“, ricordando l’occasione “persa” con i consorzi fidi, ed invitando a “non ripetere l’errore“. Mencaroni ha anche auspicato che presto si arrivi all’unificazione delle due Camere di commercio in Umbria. Ed ha ribadito l’importanza delle infrastrutture, su tutte la Quadrilatero e l’aeroporto.
Per Berbardoni (Legacoop), occorre costruire una visione per l’Umbria dei prossimi anni. Una terra, ha detto, dove, “per dimensioni e competenze diffuse ci sono le condizioni per creare un laboratorio di sostenibilità e riconvertire processi produttivi”.
“Mancano gli investimenti immateriali“, ha lamentato il segretario della Uil, Claudio Bendini, ricordando che il futuro si basa sulla capacità di innovazione. Bendini ha poi messo in guardia le istituzioni: attenzione, la crisi economica potrebbe trasformarsi in crisi sociale. L’aumento delle diseguaglianze (90ila umbri vivono sotto la soglia della povertà) è stato evidenziato anche dal segretario della Cgil Filippo Ciavaglia. Che ha lanciato l’idea di una tassazione progressiva Comune per Comune. Riccardo Marcelli, segretario regionale Cisl, ha sottolineato il progressivo abbassamento del livello generale della qualità del lavoro. Ed ha indicato nelle multinazionali presenti nel territorio una possibile chiava per favorire gli investimenti.
Il direttore di Sviluppumbria, Mauro Agostini, invita a seguire la via interregionale: “Se scegliamo il Tum (Toscana, Umbria e Marche) come sistema integrato di sviluppo fra territori simili con enorme presenza della manifattura che incide molto sul Pil, proviamo a fare politiche integrate su temi comuni. Per il 2021-2027 con Toscana e Marche dobbiamo parlarci“. Agostino ha quindi invitato ad un accordo tra le forze sociali e le Istituzioni, requisito richiesto dall’Unione Europea.
Aumentare la capacità produttiva delle imprese, rinforzare gli investimenti per l’innovazione e la ricerca in tutti i settori economici,a cominciare da quello manifatturiero. E creare occupazione di qualità e con adeguate retribuzioni. Queste le priorità indicate dalla presidente della Regione, Catiuscia Marini, anche in vista della nuova programmazione dei fondi strutturali post 2021. La governatrice punta sulle imprese del manifatturiero ad alta produttività, in grado di trainare altre imprese e di creare benessere diffuso per i cittadini. Per far questo, occorre aumentare la fascia delle imprese in grado di aumentare la produttività, anche nel terziario tradizionale.
Ma la competitività si incrementa anche affrontando i nodi della produttività del lavoro, declinando i “temi della flessiblità del lavoro sul versante delle opportunità”. Innovando. “Più si è tradizionali – ha detto Marini – e più si è esposti alla precarietà del lavoro. Più si è parte innovativa e più la flessibilità può diventare un’opportunità“. E candida la Regione ad un ruolo da protagonista attiva nella sperimentazione di un modello di rete delle piccole imprese.
E sulle risorse pubbliche, Marini ha annunciato: “Insieme dobbiamo ribaltare l’approccio che pensa di poter fare sviluppo solo con le politiche di welfare. Nel 2019 costruiremo gli accordi per il post 2021. Le 5 linee tematiche, rispetto alle 9 attuali, ci consentiranno di lavorare con più flessibilità“.