Ricerca, come funziona il cervello dei bimbi? Le differenze tra maschi e femmine - Tuttoggi.info

Ricerca, come funziona il cervello dei bimbi? Le differenze tra maschi e femmine

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Ricerca, come funziona il cervello dei bimbi? Le differenze tra maschi e femmine

Mer, 23/10/2024 - 10:02

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(Adnkronos) – Lui spesso distratto, lei ‘centrata’ e meditabonda già da piccola. I genitori se ne accorgono: bambini e bambine sembrano pensare diversamente. Ma cosa dice la scienza? Come funziona davvero il cervello dei bimbi? E cosa cambia tra maschi e femmine? Ha provato a rispondere a queste domande uno studio guidato da Lisa Toffoli e Giovanni Mento del Dipartimento di Psicologia generale dell’università di Padova, in collaborazione con Gian Marco Duma dell’Irccs ‘E. Medea’ di Conegliano e Duncan Astle dell’università di Cambridge nel Regno Unito. La ricerca, pubblicata su ‘Human Brain Mapping’, suggerisce che nei bambini piccoli l’attività cerebrale a riposo – che è collegata al funzionamento cognitivo – differisce in base al sesso.  

Gli autori, spiegano dall’Associazione La Nostra Famiglia a cui fa capo l’Irccs E. Medea, hanno dimostrato innanzitutto che “esiste una relazione tra il funzionamento neurale in condizioni di riposo”, il cosiddetto “resting state in cui il cervello non è impegnato in attività cognitive attive o compiti specifici, e il funzionamento cognitivo quotidiano in bambini di età prescolare (4-6 anni)”. Gli scienziati hanno poi evidenziato che “la stabilità, la durata e la direzione delle comunicazioni cerebrali”, cioè “il modo in cui le informazioni vengono trasmesse ed elaborate all’interno di una singola area o tra diverse aree del cervello, in assenza di richieste cognitive non cambiano all’interno della fascia di età considerata, ma differiscono in base al sesso biologico”. 

“Le richieste cognitive – chiariscono gli scienziati – si riferiscono alle sollecitazioni e alle sfide che il nostro cervello deve affrontare per elaborare informazioni, risolvere problemi, prendere decisioni e svolgere attività che richiedono attenzione e concentrazione; possono variare in intensità e complessità, e sono fondamentali nello sviluppo delle abilità cognitive, specialmente nei bambini”. Ebbene, al netto di queste richieste, “i maschi mostrano un’attività cerebrale più variabile e meno prevedibile, caratterizzata inoltre da una maggiore attivazione del Default-Mode Network, il circuito associato alla ‘testa tra le nuvole’ (mind wandering). Al contrario, le femmine attivano più spesso le aree prefrontali, maggiormente associate alla capacità di concentrazione e attivazione cognitiva”. Infine, in base a questionari compilati dai genitori, i ricercatori hanno osservato che “i bambini e le bambine che attivano di più le aree prefrontali mostrano una migliore regolazione comportamentale ed emotiva, mentre chi attiva più spesso il Default-Mode Network riporta maggiori difficoltà”. 

“Questo studio – afferma Toffoli, prima autrice – aveva due obiettivi principali: il primo era capire se e come l’attività cerebrale a riposo dei bambini differisce in base al sesso biologico e all’età. Il secondo era esaminare se questa attività fosse in grado di prevedere eventuali problemi comportamentali, emotivi o legati alle funzioni esecutive, cioè quelle abilità mentali che ci aiutano a pianificare e portare a termine azioni”.  

“Per la prima volta in questa fascia d’età – sottolinea Duma, che ha supervisionato la collaborazione con l’Irccs E. Medea – è stata utilizzata una tecnica innovativa di machine learning chiamata Hidden Markov Models (Hmm), applicata a dati di elettroencefalografia ad alta risoluzione spaziale, che ha permesso di identificare quali aree del cervello comunicano tra loro e come queste comunicazioni cambiano in tempi rapidissimi, nell’ordine di millisecondi”.  

“Questi risultati – commenta Mento, autore corrispondente dello studio – potrebbero avere significative implicazioni per popolazioni cliniche, in particolare per i disturbi del neurosviluppo come autismo e Adhd”, il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, “identificando potenziali target neurali nei processi riabilitativi. Questo potrebbe facilitare approcci terapeutici personalizzati soprattutto in età prescolare, una fase cruciale per lo sviluppo cognitivo”. 


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