Il Fondo per la non autosufficienza ha messo in luce le forti mancanze della Regione Umbria in materia sociale: è evidente che si messo in moto un meccanismo che tende ad una falsa integrazione tra saniàt e sociale, con una palese prevaricazione della prima funzione sulla seconda. Lo afferma il consigliere regionale di Alleanza nazionale Andrea Lignani Marchesani secondo cui non si spiegherebbe altrimenti la macroscopica inadempienza della Regione in materia, considerando che il Piano sociale in vigore risale al 2000 e che la legge 3 del 1997 stabilisce all'articolo 34 la valenza triennale del Piano stesso.Inoltre spiega Lignani – la legge regionale '3/97' ormai palesemente inadeguata, perchè redatta ben prima della legge di riforma sociale nazionale n.328/00 (la cosiddetta 'legge Turco') e dell'istituzione del Fondo sociale nazionale. evidente che oggi il Fondo regionale, previsto allarticolo 46 della Legge, non altro che un trasferimento del Fondo nazionale (considerato la bassa spesa sociale dell'Umbria) e che in atto un processo di centralizzazione di natura tecnocratica del potere di gestione attraverso le Asl. La stessa riforma endoregionale, con Ambiti territoriali integrati geograficamente corrispondenti alle Asl, potrebbe essere strumento non di integrazione ma di mera annessione della spesa sociale al calderone della Sanità.La mozione che ho presentato conclude il consigliere regionale – richiede un impegno della Giunta regionale a rivisitare la legge '3/97', tenendo conto della normativa sopravvenuta, e a produrre in breve tempo un nuovo Piano sociale: all'epoca della redazione della Legge infatti i servizi sociali erano delegati alle Asl, non esistevano gli ambiti territoriali e non esisteva il Fondo sociale nazionale. Non voglio rimarcare il conflitto in corso tra gli assessori Rosi e Stufara, deflagrato con le dimissioni di Carlo Romagnoli, ma bene ricordare che la stessa Legge 328 del 2000 sottolinea, in materia di 'non autosufficienza', il sostegno per servizi domiciliari e sollievo alle famiglie, attività di evidente competenza dei Comuni. A prescindere dal colore ideologico infatti è assai preferibile che, previo controllo di gestione previsto dalla stessa legge e dalle delibere regionali in materia, ci sia un'impronta politica e non un potere tecnocratico su questo tipo di servizi. A tal proposito stupisce il silenzio assordante dell'Anci, forse più impegnato in logiche spartitorie e clientelari di ottica partitica piuttosto che nella tutela dei legittimi interessi dei Comuni. RED/mp