L’Umbria è stata una delle regioni che hanno subito le maggiori conseguenze economiche nell’anno dello scoppio della pandemia, ma anche una di quelle che poi si è risollevata con maggiore forza. Lo evidenzia l’ultima ricerca dell’Aur, l’Agenzia Umbria Ricerche con uno studio di Elisabetta Tondini, che riportiamo di seguito.
L’Aur ha analizzato i nuovi dati di contabilità territoriale recentemente diffusi dall’Istat, i quali hanno rivisto al ribasso le stime per il 2020: se l’Italia in tale anno ha perso 9 punti percentuali di Pil, l’Umbria, con il suo -10 per cento, finisce per collocarsi terza (dopo Liguria e Toscana) nella graduatoria regionale per intensità della recessione.
Migliore di quanto previsto è stata invece la ripresa nel 2021, stimata per l’Umbria pari a un +7,1 per cento (qualcosa in più rispetto al +6,7 nazionale), che l’ha collocata nella graduatoria regionale tra le posizioni più alte, insieme alla Basilicata ma anche al Nord Italia.
Variazione reale del Pil dal 2019 al 2020 nelle regioni italiane (valori %, serie concatenata, 2015)
Variazione reale del Pil dal 2020 al 2021 nelle regioni italiane (valori %, serie concatenata, 2015)
Alla resa dei conti, i 21.232 milioni di euro di Pil reale prodotti nel 2021 risultano solo di poco superiori a quanto realizzato nel 2014, l’anno in cui l’Umbria aveva toccato il suo valore più basso nella storia recente.
E, nonostante la regione sia attraversata da un calo demografico più consistente che in Italia, il Prodotto interno lordo per abitante in termini nominali continua a mantenersi di 12 punti e mezzo al di sotto del 100 nazionale: nel 2021 torna praticamente ai valori pre pandemia (26.359 euro correnti a fronte dei 30.136 euro dell’Italia).
Andamento reale del Pil umbro dal 2000 al 2021 (milioni di euro, serie concatenata, 2015)
Pil per abitante nelle regioni italiane al 2021 (migliaia di euro correnti)
L’analisi del valore aggiunto settoriale conferma la trasversalità di una crisi che, seppure abbia segnatamente colpito specifiche attività terziarie, non ha risparmiato le produzioni industriali la cui recessione, nel complesso, è stata più intensa in Umbria che nel contesto nazionale.
La manifattura ha perso il 16 per cento di valore aggiunto (-13 per cento Italia) e a pagarne maggiormente le spese sono state le produzioni umbre di punta (alimentare, moda, metallurgia e metalli). In controtendenza il settore della chimica e farmaceutica, che cresce del 10 per cento, a fronte invece di un calo nazionale. Il settore delle costruzioni, ove l’Umbria risulta più specializzata dell’Italia, subisce una contrazione del 9 per cento (6 per cento nazionale).
Sul versante terziario, che ha segnato nel complesso una perdita di 8 punti percentuali sia in Umbria che in Italia, le attività più fortemente colpite dalla crisi (alloggio e ristorazione, attività artistiche, di intrattenimento e divertimento, trasporti e magazzinaggio, commercio) hanno invece subito cali un po’ più elevati a livello nazionale.
Variazione reale del valore aggiunto dal 2019 al 2020 nei settori maggiormente colpiti dalla recessione in Umbria e in Italia (valori %, serie concatenata 2015)
Variazione reale del valore aggiunto dal 2019 al 2020 nei settori manifatturieri in Umbria e in Italia (valori %, serie concatenata 2015)
Nell’anno della ripresa economica l’industria in senso stretto recupera quasi del tutto la perdita dell’anno prima (+13 per cento), le costruzioni fanno un balzo in avanti di oltre un terzo, i servizi nel complesso aumentano del 4 per cento (un punto in meno che in Italia), il commercio e le attività di alloggio e ristorazione crescono del 12 per cento (9 per cento in Italia) e quelle finanziarie e assicurative, immobiliari e i servizi alle imprese avanzano di due punti percentuali (ne avevano persi 3 l’anno precedente). In questo quadro, il settore agricolo continua invece anche nel 2021 il suo declino (-13 per cento, mente in Italia segna un -1 per cento).
Variazione reale del valore aggiunto dal 2020 al 2021 per macro settori in Umbria e in Italia (valori %, serie concatenata 2015)
La crisi pandemica ha avuto riflessi anche sull’andamento dell’economia non osservata, che nel 2020 ha subito una notevole flessione, stimata per l’Italia pari a circa 175 miliardi di euro, superiore in intensità a quella occorsa sul fronte dell’economia rilevata. La riduzione del fenomeno dell’economia sommersa e di quella illegale è stata la conseguenza del rallentamento dell’attività economica e dei maggiori controlli, anche se un ruolo importante si ritiene sia stato svolto da alcune politiche per l’emersione del nero, come il Superbonus edilizio e gli incentivi ai pagamenti tracciabili (cashback e lotteria degli scontrini).
Dal 2019 al 2020 la quota dell’economia non osservata sul valore aggiunto a livello nazionale cala di un punto (dal 12,6 all’11,6 per cento), in Umbria la contrazione è più consistente (dal 15,3 al 13,7 per cento). Nonostante questa maggiore flessione, anche nel 2020 la regione continua a spiccare per un’alta incidenza della componente non osservata della sua economia. La parte più rilevante è attribuibile alla rivalutazione dei risultati economici sotto-dichiarati dalle imprese (7 per cento a fronte del 5,3 nazionale), strutturalmente più bassa è quella relativa all’impiego di lavoro irregolare (4,6 per cento, a fronte del 4,2 in Italia). Una quota residuale (2,2 per cento) spetta all’economia illegale e alle altre componenti minori (quali i fitti in nero). Non sono cifre di poco conto: per l’Umbria significa che nel 2020 l’economia non osservata si è attestata a circa 2,6 miliardi di euro.
Poiché le attività non dichiarate sfuggono al fisco e l’occupazione irregolare va a detrimento della sicurezza oltre che della qualità stessa del lavoro sarebbe auspicabile che la ripresa dell’Umbria, avviatasi dallo scorso anno, possa essere accompagnata da una riduzione delle zone grigie della sua economia affinché la crescita possa trasformarsi anche in sviluppo.
Incidenza sul valore aggiunto delle componenti dell’economia non osservata nelle regioni italiane al 2020 (valori %)
(Fonte dei grafici: elaborazioni Aur su dati Istat)