Todi

Quel che resta dei resti di Porchiano

Un mosaico romano, tracce di un antico insediamento e un “monumento funerario in opera cementizia”. Tutto sepolto da erba e degrado. E’ quello che resta del “tesoro” archeologico che nel 2010 fece interrompere la procedura tecnica che avrebbe dovuto portare alla realizzazione del depuratore cittadino nell’area di Porchiano, con tanto di vincolo diretto apposto dalla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Umbria.

La “mappa” del tesoro è ricostruita nella “Relazione archeologica preliminare”, parte integrante della “Indagine archeologica nei terreni interessati dai lavori per il riordino del sistema di collettamento e depurazione dell’agglomerato di Todi (PG) – depuratore di Porchiano”, che a sua volta compone il corposo fascicolo redatto dall’ex Ati 2 e che ricostruisce genesi ed evoluzione dell’infrastruttura.

Il dossier si basa “sulla ricerca di tipo bibliografico e sulle conoscenze dirette, al fine di individuare la potenziale presenza di emergenze archeologiche nei siti oggetto della procedura”. “La ricerca – spiegano gli esperti che hanno effettuato lo studio – ha riguardato l’esistenza di indicazioni specifiche sulla presenza di rinvenimenti archeologici attestati da documenti ufficiali ma anche informazioni tratte da memorie al momento non accertabili. Per i dati di letteratura, l’indagine è stata svolta presso le principali biblioteche dotate di testi specialistici per il settore archeologico, comprendendo sia testi scientifici sia divulgativi, nonché bibliografia di studi storici a carattere locale, al fine di assumere tutte le informazioni anche non supportate da specifiche validazioni scientifiche”.

Insomma, fonti bibliografie e tradizione orale hanno permesso di verificare che nell’area che venne individuata dopo Monte Molino e Pian dei Mori (a questo link la storia del depuratore di Todi) erano presenti reperti archeologici “attribuiti ad un’antica villa rustica – spiega la relazione dell’ex Ati 2 – di epoca romana”. Nel dettaglio, si tratta di un “mosaico romano interrato nel XVIII secolo”, di un “insediamento romano” – rispetto al quale però gli esperti nutrono qualche perplessità, almeno relativa alla datazione – e di un “monumento funerario in opera cementizia”.

Tanto bastò alla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Umbria per avviare “una procedura di tutela diretta sull’area interessata dai ritrovamenti” ed un “connesso procedimento di tutela indiretta sull’area circostante” e per dire di no alla proposta di Umbra Acque di “traslare” l’opera su un’area limitrofa. Nel frattempo, però – sono passati otto anni – il tesoro è stato dimenticato. Almeno fino al prossimo depuratore.