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Psa, emergenza cinghiali: “Battute 12 mesi per 3 anni”

Consentire, per i prossimi 3 anni, anche battute al cinghiale per 12 mesi l’anno per arginare il rischio del diffondersi della peste suina africana (psa). E’ una delle proposte di Confagricoltura Umbria, alla luce dei danni che già solo la notizia di suini infetti in un piccolo allevamento nella zona rossa di Roma ha provocato al settore.

“Non sono sufficienti gli interventi sin qui attivati – sottolinea Confagricoltura Umbria – che denotano lo sforzo della Regione Umbria di adottare strumenti efficaci a norme costanti. Questo significa che il commissario straordinario deve adottare efficaci disposizioni in deroga alle attuali norme sulla caccia e sulla protezione delle specie”.


Cinghiali e peste suina, la mappa dei comuni a rischio


Battute tutto l’anno

Prosegue Confagricoltura: “Nelle aree dove sarà necessario eliminare il cinghiale, che dal punto di vista demografico è presente in numeri enormemente superiori a quanto previsto dall’equilibrio ecologico, è necessario che tali attività siano consentite anche in battuta e non solo con la tecnica dell’aspetto e della girata. Tutte e tre le tipologie di intervento debbono poter coesistere ed essere adottate per 12 mesi l’anno per i prossimi tre anni. E ciò deve essere reso possibile in quanto non si tratta di caccia al cinghiale, attività peraltro che deve essere limitata alle sole zone vocate e con settori assegnati a rotazione alle squadre di cacciatori“.

Misure per ricondurre la specie cinghiale in equilibrio ecologico, salvaguardare allevamenti e industrie della trasformazione, economia di importanti città come Norcia. Ma anche per salvare i raccolti dalla devastazione dovuta a questa specie e ridurre drasticamente gli incidenti stradali.

Confagricoltura: cinghiali, serve un cambio di passo

 “Serve un cambio di passo, subito un deciso piano di contenimento dei cinghiali e sostegni economici alle aziende del comparto. Serve mettere in campo azioni efficaci e permanenti di eradicazione del cinghiale utilizzando squadre volontarie ma è anche giunto il momento di fare ricorso a personale esperto di caccia appositamente incaricato”. Così Confagricoltura Umbria dopo la notizia data dall’Istituto Zooprofilattico con i due nuovi casi di Peste Suina Africana in un piccolo allevamento nella zona rossa, istituita di recente nel Lazio, e precisamente nella vicina provincia di Rieti. Alle porte dell’Umbria è quindi sempre più presente la PSA e la mobilità dei cinghiali rischia di mettere in crisi allevamenti e norcineria: “Un episodio grave che mette a rischio la filiera suinicola regionale e nazionale, frutto della disattenzione con la quale l’emergenza PSA è stata affrontata fino ad oggi. L’ingresso del virus nell’allevamento vicino a Roma poteva essere evitato con misure adeguate, incisive e tempestive”.

Trappole e recinzioni

“Le stesse tecniche di trappolamento forse, oltre ad alimentare filiere tracciate della carne e dei prodotti a base di cinghiale – proseguono gli agricoltori – potrebbero servire abbinati alla realizzazione di ampie zone recintare in area boscata, a contenere in questi contesti il cinghiale e assegnarne la gestione di chi ha interesse alla caccia come attività ludica con i proprietari di dette aree”.

Ritenuto inoltre fondamentale, per l’associazione, il rilancio immediato di un deciso piano di contenimento delle comunità di cinghiali allo stato brado, primo veicolo della malattia. Parallelamente, afferma Confagricoltura, è altrettanto urgente riconoscere indennizzi adeguati agli allevatori colpiti, da versare rapidamente e in maniera equa. Inoltre, è necessario dare seguito agli incentivi destinati agli investimenti in materia di biosicurezza.

Export, la psa costa 20 milioni di euro al mese

Dal ritrovamento del primo cinghiale colpito dalla psa, lo scorso gennaio, l’export del settore suinicolo italiano sta subendo danni economici quantificabili – secondo Confagricoltura – in 20 milioni di euro al mese. Con un export di 1,5 miliardi di euro nel 2021, il volume di affari totale (produzione degli allevamenti e fatturato dell’industria di trasformazione) sfiora gli 11 miliardi. Complessivamente, l’intera filiera genera un fatturato che è pari al 5% del totale della produzione agricola nazionale e sul fatturato dell’intera industria agroalimentare italiana.