“Passa la nave mia colma d’oblio” – è il verso di apertura di una poesia di Francesco Petrarca inserita dal regista Folco Napolini nella sua opera “Il mito di Scilla” che ha avuto il riconoscimento del “Premio Mediterraneo” di Gioia Tauro.
E forse è la stessa sensazione che il regista ternano d’adozione deve provare quando quando vede sfilare sotto i suoi occhi qualche pindarico viaggio della città verso velleitari tentativi di proporre eventi culturali, troppo spesso affidati al dilettantismo (per comodo o per poca competenza), dimenticando che anche l’arte è, in un certo senso, un ‘mestiere’.
Un curriculum artistico che non ha bisogno di presentazioni, ma il personaggio è certamente poco conosciuto in città nella sua dimensione artistica e umana. Un misto di sacro e profano, in Folco Napolini convivono due anime: una che ricorda la spiritualità di certi personaggi ritratti da Isabel Allende nella trilogia di “Aquila e Giaguaro”, con una sorte di spirito guida, appunto, nel caso specifico quello del lupo, grazie al quale ‘annusa’ il mondo e le persone (il regista ha iniziato a camminare grazie a un piccolo lupo raccolto dai genitori contadini, con il quale ha condiviso i primi tre anni di vita).
L’altra anima è quella “francescana” come lui stessa la definisce, che trae ispirazione dal seme di San Francesco ricevuto da Monsignor Vincenzo Paglia quandoè stato nominato Ambasciatore della Pace nel Mondo per aver contribuito a far emergere Terni come culla dell’arte sacra contemporanea.
Preghiera, impegno nel sociale, amore per la città, ma anche attivismo politico (prima in Sel, poi nel Pd), un animo inquieto che ha regalato alla città di Terni un film che in pochi conoscono, “Terni Inoxum”, destinato anche alle scuole, ma al quale nessuno si è mai interessato per farlo arrivare ai ragazzi ternani.
Una carriera di successi che non trovano lo stesso riscontro nella ‘sua’ città, dove spesso si dimenticano i figli eccellenti che danno valore, fuori i confini regionali, alla città stessa. Visto che a Terni nessun regista può vantare il suo curriculum, forse deve esserci qualche ragione politica per la quale ‘nemo propheta in patria’ e l’oblio passa davanti agli occhi del regista che, forse, non ha ancora avuto il coraggio di far conoscere una parte della sua vita. Potrebbe essere proprio questa una delle ultime opere di Napolini, una sorta di ‘testamento’ artistico-spirituale dove raccontare frammenti di una vita non ordinaria, come l’incontro con Ignazio Silone, del quale pochi sapranno e delle copie di carte autografe dello scrittore in suo possesso. Oppure del suo percorso e della sua crescita spirituale come ‘francescano’ che gli impone di predicare la bontà e lasciare nell’oblio della nave il rancore.