Francesco Balucani
Un incipit dovuto: la numerosissima platea che oggi pomeriggio ha riempito la Sala dei Notari era forse dovuta alla presenza di Matteo Renzi, previsto da programma e rivelatosi infine il grande assente, tuttavia l’incontro non ha generato rimpianti di sorta in chi ne ha saputo trarre le profonde implicazioni. E’ iniziata così, in data odierna, la settima edizione del Festival Internazionale del Giornalismo. La Panel Discussion prevista per le tre del pomeriggio ed incentrata sul confronto tra internet e politica era forse l’evento più atteso, proprio per la presenza del Sindaco di Firenze, rimasto poi a Roma per motivi che risultano ovvi: Giorgio Napolitano ha affidato l’incarico di formare un nuovo governo ad Enrico Letta e Renzi si è sentito in dovere di partecipare in prima persona a una fase di transizione nella quale potrebbe verosimilmente ricoprire un ruolo di primo piano. Malgrado tale assenza, le riflessioni offerte da Marco Patuano, amministratore delegato di Telecom Italia, Beppe Severgnini, esilarante editorialista del Corriere della Sera, e Kevin Bleyer, autore dei discorsi che negli ultimi anni hanno permesso a Barack Obama di rivoluzionare la politica statunitense, hanno riscosso un generalizzato consenso espresso in applausi. Moderatrice, Anna Masera, social media editor per La Stampa.
Primo a prendere la parola, Kevin Bleyer, in collegamento Skype da New York City, il quale ha rimarcato con enfasi il ruolo dei social media all’interno del tessuto politico nazionale. Se nel lontano 2008 Barack Obama è riuscito a strappare la vittoria al futuro senatore repubblicano Jonh McCain, ciò è stato in parte reso possibile dall’uso innovativo e rivoluzionario che i suoi collaboratori hanno fatto della rete. Quando il suo anziano avversario usava ancora le email come mezzo propagandistico, il team democratico si avvaleva di algoritmi matematici, basi informatiche avanzate e moderne tecnologie comunicative. Quattro anni dopo, Mitt Romney – pur compensando in parte le mancanze del predecessore – è caduto nella medesima trappola. Il ruolo della tecnologia per favorire la comunicazione di massa non può ulteriormente venire ignorato dai vari apparati politici, questo appare più che mai nitido.
Marco Patuano è intervenuto in tema di Digital Divide, ovvero quella virtuale barriera che separa le moderne fonti informatiche dall’utenza. Nell’erigere tale confine, intervengono “fattori tecnologici e culturali” di diversa natura. In Italia, il problema è sia infrastrutturale che culturale. Molti parlano di fibra ottica, ma l’installazione di tali infrastrutture prevede necesmsariamente lo snellimento della burocrazia pubblica. “Non posso aspettare diciotto mesi e consultare sei diversi enti pubblici per avere l’approvazione finale e poter cominciare a vendere”. Il superamento degli ostacoli infrastrutturali che caratterizzano il Digital Divide passa inevitabilmente attraverso un poderoso ridimensionamento della macchina pubblica, da troppo tempo vista come interferenza, piuttosto che come facilitazione, dal mondo imprenditoriale. Allo stesso tempo intervengono fattori espressamente culturali: i personal device – gli strumenti attraverso i quali entriamo in rete – devono poter essere semplici da usare e soprattutto intuitivi. Le persone vanno istruite circa le possibilità che le moderne tecnologie offrono loro.
La voce di Beppe Severgnini – storicamente dotato di una profonda e per certi versi ironica abilità retorica – ha offerto qualche tagliente ed illuminante riflessione circa il ruolo che i social network stanno acquisendo nella società italiana, dove tradizionalmente le tecnologie – o più in generale le novità – giungono con considerevole ritardo. Ostentando una magistrale padronanza della lingua inglese, il celebre editorialista ha dapprima commentato la straordinaria capacità che possiede la macchina elettorale statunitense di ottenere informazioni. “Se dentro casa tieni un paio di pistole loro lo sanno. Busseranno alla porta e di certo non ti informeranno circa la politica di disarmo adottata dal candidato per il quale lavorano.” In summa, la base informativa ottenuta in tal modo permette una più accurata campagna elettorale, fondata non più esclusivamente sulla comunicazione di massa, ma anche – se non in misura maggiore – sul contatto diretto con il cittadino.
“Io uso Facebook in maniera occasionale – continua Severgnini – mentre uso Twitter in modo assiduo e continuo. Mi attira. E’ la macchina della verità. Chi fa uso di Twitter rivela se stesso.” In sintesi, la scia di tweet rilasciati dai vari esponenti delle forza politiche permangono e nel corso del tempo formano una sorta di linea evolutiva che permette di analizzarne l’operato in maniera più coerente e razionale. Inizialmente vari politici pensavano di sfruttare i social network per ridimensionare il ruolo dei media tradizionali, ma per molti di loro “è stato un dramma”. Come fossero “nudi su Twitter”, ai follower è stato possibile mirarli con un grado di profondità maggiore, scoprendo di tanto in tanto realtà tutt’altro che rispettabili, palesi contraddizioni in termini e poco chiari cambi di rotta. “Molti di coloro che usano Twitter risultano impulsivi, o magari non capiscono la portata di ciò che stanno facendo”. A mo’ di esempio Severgnini ha raccontato un breve aneddoto: “quando Margaret Thatcher è passata a miglior vita – molti si chiedono ora se stia privatizzando il paradiso – il Ministro degli Esteri Terzi ha tweettato in un paio di occasioni dei commenti riferiti all’accadimento, scrivendo però il nome della Thatcher senza h. Ora, non è un errore grave, ma se si parla del Ministro degli Esteri è un dettaglio che può far riflettere.” Chi scrive ha personalmente avuto dei dubbi riguardo la corretta dicitura del cognome Thatcher e – in tutta onestà – ha risolto la cosa rivolgendosi al sempre presente google. Chissà che il Ministro non faccia lo stesso la prossima volta.
Come era lecito aspettarsi, non sono mancati commenti circa la nomina di Enrico Letta alla Presidenza del Consiglio dei Ministri: “la nomina di un uomo saggio, la quale età comincia per quattro (riferimento all’età di Letta n.d.r) non può che rappresentare una piacevole novità. Forse, come ho scritto su Twitter mentre viaggiavo in galleria, è una luce in fondo al tunnel.”