Cronaca

Piccolo Carro, sequestro dei beni per oltre 6 milioni di euro

Sei milioni e 279mila euro “congelati”. La procura di Perugia ha chiesto il sequestro preventivo dei beni riconducibili alla Cooperativa Piccolo Carro. Il Gip, accolta la richiesta, ha emesso il decreto di sequestro che nelle scorse ore è stato eseguito dagli uomini della guardia di finanza. Truffa ai danni dello stato, gestione di strutture residenziali ospitanti minori con problematiche sanitarie senza le prescritte autorizzazioni e trattamento di dati sanitari personali dei minori in violazione della legge sulla privacy, sono queste le accuse mosse dagli inquirenti.

La cooperativa sociale Piccolo Carro a r.1., di cui Aristei Cristina e Salerno Pietro sono rispettivamente presidente e vice presidente, con sedi, legale e operativa, in Bastia Umbra, gestisce strutture residenziali socio/educative dislocate nel territorio dei comuni di Perugia, Assisi e Bettona, nelle quali sono stati inseriti minori affidati da enti e amministrazioni pubbliche (Servizi Sociali, Unità Sanitarie Locali, Tribunali dei Minorenni), possedendo i titoli formali ai fini della prestazione di attività di tipo socio/assistenziale di carattere residenziale in favore di minorenni. Questo scrive il giudice nel descrivere l’attività, però poi spiega che, “dalle indagini è emerso, tuttavia, che nelle strutture residenziali della suddetta cooperativa sociale era svolta anche attività terapeutico/sanitaria, con particolare riferimento all’assistenza di minori con problematiche neuro/psichiche e psichiatriche, anche di rilievo, in assenza delle autorizzazioni, sanitaria e/o sociosanitaria”.

Dalle indagini svolte dalla Gdf di Assisi e dalla documentazione sottoposta a sequestro in seguito alle attività di perquisizione, è emerso che il collocamento dei minori con problematiche di tipo sanitario nelle strutture della cooperativa sociale è avvenuto su richiesta di servizi socio/sanitari di diversi luoghi del territorio italiano (tra le altre, Asl di Conegliano, Viareggio, Urbino, Oristano, Bologna, Forlì, Pordenone, Crotone, Roma, Cosenza, Pisa, Bolzano), in buona parte in seguito alle disposizioni, relative al collocamento dei minori in strutture terapeutiche, dei Tribunali per i minorenni competenti nei rispettivi territori, con la conseguente urgenza di reperire strutture residenziali idonee, sotto il profilo organizzativo e professionale, ad assicurare un intervento integrato (socio educativo e sanitario).

L’inserimento avviene, di norma, sulla base di un piano terapeutico individuale (PIT) predisposto dalle AUSL invianti, sulla scorta di una valutazione psichiatrica del servizio di neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza del luogo di provenienza del minore. “In nessuno dei casi analizzati – scrive il giudice – è stata data comunicazione dell’inserimento dei minori con problematiche neuro/psichiatriche ai servizi socio/assistenziali e di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza della USL Umbria 1, nelle sue articolazioni competenti in relazione all’ubicazione della comunità di inserimento, da parte della cooperativa o dei servizi socio sanitari invianti”.

Si parla, nelle carte, di “inequivocabile dell’assenza, in capo alle strutture gestite dalla società cooperativa sociale Piccolo Carro a r.l., dei presupposti autorizzativi per l’esercizio di attività sanitaria e sociosanitaria, previsti dalla normativa statale e regionale in materia”. Inoltre accertamenti dei Nas hanno dato conto del fatto che nelle strutture residenziali della cooperativa Piccolo Carro “da anni venivano erogate, con continuità, verso ospiti minorenni, prestazioni di tipo sanitario e/o sociosanitario, per mezzo di una organizzazione propria, interna alla cooperativa stessa, composta da infermieri, medici, psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, che non solo provvedeva alla somministrazione di importanti terapie farmacologiche nei confronti di pazienti con patologie di tipo neuro/psichiatrico, in alcuni casi di grado severo, ma assumeva anche autonome decisioni in ordine alla prosecuzione, alla modifica o alla interruzione delle terapie stesse, senza alcun coordinamento o collaborazione con i servizi di neuropsichiatria della USL del territorio e, di conseguenza, stante la concomitante e radicale carenza di autorizzazione sanitaria, senza che fosse mai stata improntata e attuata alcuna forma di supervisione, vigilanza o controllo da parte di organi del servizio sanitario pubblico”.

Erano invece soldi pubblici i 400 euro al giorno circa che la cooperativa percepiva per ogni ragazzo ospitato. Da qui l’accusa di truffa aggravata e frode nelle pubbliche forniture. Accuse ancora tutte da dimostrare, ma gli indagati (che hanno ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini) potranno direttamente chiarire la loro posizione davanti al pm. Mentre i loro legali già annunciano il ricorso al Riesame avverso al sequestro.