E’ il giorno della verità per la ormai fu cooperativa del Piccolo Carro, struttura rincorsa da Asl e Tribunali di mezza Italia per il recupero dei minori con problemi di varia natura finita tre anni fa al centro di una inchiesta giudiziaria che ne ha comportato la definitiva chiusura. Era settembre 2016 quando più di 100 uomini di Finanza, Carabinieri, Polizia, Usl e Vigili urbani, con l’ausilio anche di cani antidroga fecero irruzione nelle strutture del Piccolo, poi finite nel tempo sotto sequestro.
Alcuni ospiti furono sottoposti a esami tossicologici, tutti risultati negativi. Un blitz che sembrava destinato a svelare chissà quali violazioni in danno dei minori e che si è fermato ad una presunta truffa ai danni dello Stato e frode in pubbliche forniture. Ipotesi di reato importanti, per carità, ma forse non tali da giustificare un simile dispiego di forze e risorse.
E forse neanche un clamore mediatico come quello cavalcato per lungo tempo – almeno fino al dissequestro della Cassazione – anche dal M5S con in testa la la senatrice Blundo, la capogruppo regionale Carbonari, e una responsabile della associazione Colibrì che ancora nelle ultime ore, al quotidiano La Verità, ha usato toni pesantissimi nei confronti dei due responsabili della struttura.
Ad avviare l’inchiesta era stato un esposto anonimo inviato alla Procura di Perugia in cui si parlava di gestione dittatoriale, di irregolarità varie, della presenza di una setta all’interno della struttura dedicata ai minori con problemi, di ex detenuti assunti e messi a contatto con gli ospiti.
Nei mesi successivi furono sentiti anche quattro ex soci della cooperativa, fuoriusciti a vario titolo dalla stessa nei mesi antecedenti il blitz.
Di fatto nessuna setta, nessun uso di sostanze stupefacenti, nessuna vessazione nei confronti dei minori e pure gli ex detenuti assunti, altri non erano che soggetti segnalati dalle stesse istituzioni per reinserirsi nella società.
Alla fine le indagini e le carte sequestrate dalla Procura perugina dimostrerebbero, questa è l’ipotesi accusatoria, che la cooperativa non aveva l’autorizzazione regionale a poter ospitare quei ragazzi e ragazze che necessitavano di una assistenza sanitaria per la quale la legge nazionale prevede degli appositi accreditamenti.
Il Piccolo Carro dunque era o no una struttura a “valenza terapeutica”? E cosa deve intendersi per valenza terapeutica, la capacità di prescrivere farmaci o assicurare la presenza di personale qualificato a quei soggetti che venivano inviati nella comunità con il percorso sanitario già prescritto?
E’ intorno a ciò che domani accusa e difesa si confronteranno.
La prima assegnata al Pm Gennaro Iannarone, magistrato esperto già titolare di importanti inchieste, che ha ereditato da pochi mesi il fascicolo dal collega Adragna. Dall’altra gli avvocati Giancarlo Viti per la ex presidente Cristina Aristei, Mario Tedesco per l’ex vice presidente Pietro Salerno, Sandro Picchiarelli e Giovanni Zurino che tutelano gli interessi della Cooperativa. Contattati da Tuttoggi hanno tutti declinato l’invito a rilasciare dichiarazioni, continuando così, e ormai da tre anni, come pure i loro assistititi, un profilo rispettoso delle attività giudiziarie. A decidere se i due dovranno andare a processo sarà il Gup Piercarlo Frabotta.
Che la Regione dell’Umbria fosse in ritardo da anni con una legislazione sulla materia è risaputo e di questo dovrà, volente o nolente, occuparsi una volta per tutte la Giunta che si insedierà a Palazzo Donini dopo il voto del 27 ottobre. Perché quello che appare comunque evidente, al di là dell’esito che avrà il procedimento giudiziario, è che tanto lo Stato quanto le Regioni, a forza di delegare e decentrare, non sono in grado, senza il supporto di strutture ‘terze’, di gestire in house i casi più problematici. Quelli che neanche le famiglie possono gestire.
L’inchiesta tra equivoci, malizia e consapevolezza
Il Piccolo Carro si era messo in luce per i suoi metodi riabilitativi, riconosciuti dagli stessi responsabili delle Asl di tutta Italia che qui inviavano i loro pazienti. Persino i giudici dei Tribunali dei minorenni si rivolgevano al Piccolo per i casi “difficili”.
La Cassazione, a cui si erano rivolti i legali dopo il sequestro preventivo di tutti i beni della coop e quelli personali dei due responsabili, aveva ridimensionato l’inchiesta rinviando al Tribunale del Riesame che aveva dovuto prendere atto come in almeno la metà dei casi non esistesse neanche il fumus di condotte fraudolente: 6 casi accertati su 14 presunti. Peraltro per i restanti otto, è notizia di queste ore, solo 4 strutture (Asl Romagna, Bologna, Friuli occidentale e Udine) hanno deciso di costituirsi parte civile. Per la cronaca si è costituita anche l’associazione Colibrì.
I dipendenti, “dimenticati dallo Stato”
Tuttoggi nelle scorse settimane aveva raccolto l’appello lanciato dagli ex dipendenti della cooperativa rimasti ancora privi degli emolumenti maturati già agli inizi del 2018. In quella occasione, visionando le pronunce fin qui emesse dalla Cassazione e dal Riesame era spuntato fuori un documento con cui la Regione dell’Umbria aveva invitato al tavolo tecnico per definire la nuova normativa di settore proprio il Piccolo Carro quale “soggetto titolare e gestore di comunità educativa a valenza terapeutica”: una lettera che gli stessi giudici hanno definito “senza padre né madre” dal momento che il dirigente regionale che aveva firmato l’atto, pur riconoscendo la propria firma, aveva ammesso ai finanzieri di “aver sottoscritto superficialmente, in realtà redatto da altra funzionaria” e riconoscendo “l’espressione impropria che sembra sottintendere una autorizzazione del Piccolo Carro a svolgere attività e servizi a valenza terapeutica quando si trattava di una comunità socio-educativa”.
Anche la funzionaria che lo avrebbe predisposto ne ha preso le distanze affermando di non averlo “mai redatto”. Una barzelletta, se non fosse un documento protocollato con sistema informatico che ne attesta la autenticità. Ma non è l’unico.
Agli atti c’è un’altra missiva che dimostra come non solo le istituzioni ma anche le aziende sanitarie sapessero e considerassero positivamente la cooperativa. La lettera che Tuttoggi ha potuto visionare è stata rilasciata dalla Usl1, Dipartimento salute mentale l’11 agosto 2016, quasi due mesi prima del blitz della Finanza, ed è indirizzata al Direttore sanitario, alla Direttrice del Dsm, alla Presidenza della conferenza di zona e al Garante per i minori della Regione. Dall’incipit si intuisce che il dipartimento perugino è stato attivato dalla stessa Regione dopo una lettera del Comune di Assisi avente ad oggetto “diffida relativa alla Comunità per minori Silo, Assisi”.
Il dirigente medico relaziona così di aver proceduto a verificare la struttura e le tipologie di inserimento degli ospiti minori. Leggiamo “Le caratteristiche delle richieste risultano radicalmente trasformate rispetto al passato ed appaiono caratterizzate dalla necessità di un sostegno psicologico nel percorso socio-educativo individuale; inoltre molti dei soggetti giungono all’inserimento gravati della prescrizioni di una terapia farmacologica. Il Garante ha confermato che questa tendenza è già stata osservata in altre strutture stabilite sia nel territorio umbro e nel più ampio contesto nazionale. La Cooperativa si è pertanto dotata di una equipe, presente anch’essa all’incontro, costituita di psicologi e medici psichiatri con il compito di sostenere gli ospiti dal giorno del loro inserimento sino al reinserimento nel contesto familiare, ove possibile”.
Nella relazione si indica anche la presenza sia del servizio di parent training per il sostegno settimanale delle famiglie, sia di una struttura che consenta ai maggiorenni, “quando la famiglia non è presente e/o venga ritenuta non idonea dalla magistratura, di sperimentare temporaneamente una vita in autonomia prima delle fisiologiche dimissioni”.
Anche questo documento, come alcune testimonianze rese negli interrogatori di dirigenti medici di altre Asl, attesta che “la maggior parte delle presenze ha avuto esperienze fallimentari in altre comunità. Valutando lo stato corrente della normativa in materia nazionale e regionale sono emerse la necessità e quindi la volontà di concretizzare una costante collaborazione tra la Cooperativa e questa Usl1 per la tutela di quei minori che, sebbene inseriti in un ambito socio educativo, manifestino il bisogno di forme di intervento a sostegno della salute mentale. Sarà pertanto necessario fare riferimento ai Csm di competenza territoriale”.
Una conferma in più che il programma di recupero, come aveva già accertato in alcuni casi la Cassazione, era co-gestito tra la coop e le Asl che concordavano i percorsi, verificavano l’andamento anche in presenza e certificavano il risultato finale.
Sembra così spiegato anche il perché la struttura applicasse costi differenti a seconda dei pazienti inviati dalle Asl: 140€ al giorno in caso di percorso socio-educativo, sino a 400€ al giorno per i casi che richiedevano la presenza di una equipe medica.
La decisione del Gup attesa per domani potrà quindi chiarire gli aspetti di questa vicenda che con il passare del tempo si è certamente sgonfiata.
Sull’inchiesta restano comunque accesi i riflettori della stampa. Nelle scorse ore a Perugia, negli uffici dell’assessorato alla salute, è stata notata una troupe Mediaset con la nota giornalista Natasha Farinelli per un servizio destinato al format di Rete4 “Fuori dal coro” condotto dal noto giornalista ed editorialista Mario Giordano. Il programma, che lo scorso luglio ha ottenuto un boom di ascolti con oltre il 9% di share, tornerà in onda proprio stasera 11 settembre.
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