Contro il rischio di peste suina africana, esercitazioni per recuperare resti di cinghiali potenzialmente infetti. Ma poi, quando si trovano vere carcasse di cinghiali, queste non vengono rimosse nel fine settimana.
Qualcosa non va nella procedura contro il rischio di peste suina africana, virus non trasmissibile all’uomo, ma che infetta cinghiali selvatici e maiali, quindi disastroso per l’economia del settore.
A Ciconia di Orvieto, su una strada che costeggia una parco pubblico, un cartello posto di fronte ai resti di un cinghiale avverte: “Rifiuto speciale. Carcassa oggetto di campionamento Piano nazionale Peste suina africana. Non rimuovere“. Cinghiale che sembra sia lì da venerdì, quando ne è stata segnalata la presenza alle autorità competenti.
L’animale è morto presumibilmente a seguito dell’urto con un’auto. Ma la procedura, proprio a causa dell’emergenza da Psa, prevede che i cinghiali trovati morti o feriti debbano essere segnalati all’Izsum, che li preleva o ne autorizza il prelievo. E i cui campioni poi vengono poi sottoposti ad analisi proprio per scongiurare il virus.
Solo che – secondo quanto abbiamo potuto accertare e quanto avevamo già denunciato in precedenza – nel fine settimana il servizio di recupero delle carcasse di animali non funziona. Neanche in piena emergenza sanitaria nazionale.
Dopo i casi di cinghiali con peste suina africana accertati in Piemonte e in Liguria, in tutta Italia, in base al decreto interministeriale, sono scattate le misure per prevenire la possibile emergenza sanitaria. Oltre alle misure restrittive specifiche per la zona rossa, definita nelle province in cui sono stati appunto accertati i casi di peste suina africana.
Il Centro di referenza nazionale per le pesti suine è l’Istituto zooprofilattico (Izsum) Umbria – Marche di Perugia. Dove vengono inviati i resti degli animali sospetti, per le analisi finali. Finora sono stati una quarantina i casi accertati, sempre nelle zone interessate di Piemonte e Liguria.
In Umbria, il tema della peste suina africana è molto dibattuto. Per l’elevata presenza di cinghiali, con un aumentato rischio di contagi. E per l’importanza del settore degli allevamenti e della norcineria.
Conformemente ai piani già elaborati (tra cui il Piano di sorveglianza del 2020) e alle indicazioni del decreto interministeriale, sono state attivate squadre addestrate al recupero in sicurezza ed è stato predisposto un numero (075.81391) per la segnalazione di animali morti e feriti. Con l’indicazione ad automobilisti e cacciatori o comunque a chi si imbatta nei resti di animali, di non avvicinarsi. Il rischio è che infatti l’uomo possa essere veicolo del virus, anche attraverso scarpe o altri oggetti che potrebbero contaminarsi. Tant’è che in zona rossa, oltre alla caccia, è stata vietata anche la raccolta di funghi e l’attività nei boschi.
Il timore è che oggetti contaminati finiscano poi all’interno di allevamenti.
Solo che il servizio per il recupero delle carcasse in Umbria pare non sia attivo nel fine settimana. Come avvenuto nel caso del cinghiale trovato a Ciconia. Lasciato lì per almeno due giorni, con una cartello che avverte di non avvicinarsi.
Un po’ poco, visti i possibili rischi. Anche perché ammesso che tutti si attengano al divieto, è possibile che la carcassa del cinghiale sia predata da altri animali, a quel punto possibili veicoli del virus.
La cosa assurda è che proprio nei giorni scorsi la Regione abbia avviato di concerto nell’Atc 1 del Perugino la prima simulazione per il recupero di carcasse di cinghiali nel caso in cui venisse accertato un caso di peste suina. Solo che poi, quando c’è da fare un vero recupero, nel fine settimana questo non è possibile. Come se il sabato e la domenica il virus della Peste suina africana fosse innocuo.