Nessun accordo sul futuro dei lavoratori della Perugina che l’azienda ha inserito nel piano esuberi. Dopo una lunga e drammatica trattativa, andata avanti dalle 15 alle 21 nella sede di Confindustria a Perugia, i sindacati e la delegazione di Nestlé Italia, capeggiata dal direttore delle relazioni industriali Gianluigi Toia, hanno abbandonato il tavolo senza giungere ad un accordo condiviso.
Il nodo, dopo la schiarita sulla cassa integrazione guadagni straordinaria ricevuta in mattinata nella riunione tecnica che si era tenuta al Ministero dello Sviluppo economico, sono i ricollocamenti dei lavoratori in esubero, non interessati dal part time, nelle aziende del territorio che hanno manifestato un interesse ad assumere. Un nodo venuto al pettine nel momento in cui, Nestlé da un lato e sindacati dall’altro hanno dovuto scoprire le carte.
La multinazionale, infatti, ha dovuto far scendere il numero dei posti di lavoro disponibili in aziende del territorio dai 43 prospettati ad una trentina. Perché alcune delle imprese si sarebbero tirate indietro, nonostante gli incentivi promessi per la riassunzione di lavoratori in uscita dalla Perugina. A questi si aggiungono poi i 50 posti della Servizi associati. Un’operazione, quest’ultima, sulla quale i sindacati hanno da subito espresso molte perplessità, ritenendo che, di fatto, non si tratta di creazione di nuovi posti di lavoro, ma di lavoro tolto ad altri e neanche troppo stabile in prospettiva futura.
E infatti nella trattativa con Nestlé i sindacati hanno chiesto che la Servizi associati fosse riassorbita all’interno della Perugina, ricevendo un secco “no” dalla delegazione della multinazionale, che evidentemente deve rispettare il limite di personale sopra il quale non si ritiene sostenibile il business allo stabilimento di San Sisto. Come hanno evidenziato i sindacati anche nelle scorse settimane, Nestlé d’altro canto nell’ultimo anno non ha fatto neanche un piccolo passo indietro rispetto alla fatidica quota dei 364 esuberi complessivi.
I sindacati, per contro, hanno raccolto la diffidenza dei lavoratori rispetto ad un’operazione che li vede lasciare un contratto a tempo indeterminato all’interno di una multinazionale e la riassunzione, con la nuova normativa, in piccole aziende locali.
La vicenda della cassa integrazione straordinaria (possibilità prevista per le grandi crisi attraverso una specifica norma introdotta nell’ultima legge di bilancio) dimostra del resto come i lavoratori di una grande azienda siano generalmente più tutelati.
Tuttavia, nell’incontro della mattinata a Roma i tecnici del Mise su questo punto erano stati chiari: il lavoratore che rifiuti la riassunzione in un posto di lavoro “congruo” – cioè alle stesse condizioni economiche e con una distanza dalla propria abitazione simile a quella da San Sisto – perderà il diritto di accedere alla cassa integrazione straordinaria.
Naturale, dunque, che approdati al secondo piano della sede di Confindustria i sindacati abbiano cercato di svelare le carte circa le aziende locali che sarebbero pronte a riassorbire i lavoratori in uscita. Senza avere, evidentemente, soddisfazione.
Nestlé appare comunque intenzionata ad andare avanti con il proprio piano di alleggerimento dei costi del personale per lo stabilimento di San Sisto. La quota 364 esuberi sarà raggiunta con queste diverse modalità: tramite part time verticali con un incentivo di 5mila euro l’anno per 5 anni, che potrà scattare già dopo il 30 giugno (termine nel quale scadranno gli attuali ammortizzatori sociali) indipendentemente dall’eventuale richiesta di proroga della cassa integrazione; una parte dei lavoratori hanno già manifestato l’intenzione di accettare il licenziamento dietro il pagamento di un bonus di 60mila euro; una trentina di prepensionamenti già accordati; la riassunzione (con un incentivo di 30mila euro) in altre aziende del territorio, compresa la Servizi associati, il nodo principale sul quale è naufragata la trattativa.
Nestlé si è dichiarata disponibile a richiedere la proroga della cassa integrazione (ma potrà farlo, hanno spiegato dal Ministero, solo dopo il 15 maggio) soltanto per coloro che resteranno fuori, loro malgrado, dal piano di ricollocazione degli esuberi. Che scatterà, appunto, sin dal 1° luglio.
D’altra parte, al Ministero hanno ribadito che l’ulteriore cassa integrazione potrà avere una durata ridotta (6 mesi, 12 al massimo) e dovrà servire ad accompagnare i lavoratori verso una stabilizzazione della loro posizione.
Con questi paletti, e vista soprattutto la determinazione della multinazionale a perseguire il proprio piano, la posizione dei lavoratori in questa vertenza si indebolisce.